105 West. New York. Sound meditation

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A New York succedono parecchie cose, the city never sleeps, dicono. In effetti tutti corrono, il caffè se lo bevono per strada, infilato in lunghi bicchieroni termici, camminando con le cuffiette infilate nelle orecchie, e se ne vanno sempre di fretta, su e giù per le scale, corrono perfino sulle scale mobili, anche quando non c’è il treno, Penn Station, Subway, Lincoln Center, Red Line, la N°1 la linea Rossa, quella che si allunga a nord dalla parte dell’Hudson River, verso Upper West Side Manhattan e poi ancora più su, Uptown.

105West non è una zona trendy, qui non ci abitano i banchieri, gli investment’s men, qui non ci sono i negozi chic di Madison o della Fifth, non ci sono le macchinone lucide e nere. Qui ci abitano tutti, tutti mischiati, i professori della Columbia, gli artisti, la gente comune, gli intellettuali, le pensionate con i capelli viola, i negozianti cubani o messicani, gli impiegati irlandesi, e poi ci sono le persone speciali…

Un incontro molto speciale.
Un palazzone degli anni ’20. Austero. L’ascensore sferraglia, lento.
La seduta di meditazione inizia alle 18,30. “Per cortesia puntuali, una volta iniziata la meditazione non si entra più”. Questo lo sapevo.
Sono in anticipo, mi faccio un giro del Block.
Entro alle 18:20.  “Siedi dove preferisci, scegli il tuo spot”.
Un divano bianco, comodo. Sono il secondo, c’è già un uomo seduto in poltrona. Ha gli occhi socchiusi.

18:21, 22, 23, 25, 27, 29…Adesso sono arrivati tutti. Siamo in 9. Pochi cenni di saluto. Una tenda chiara allontana il sole che lentamente tramonta, una libreria, tanti cuscini, luci soffuse, qualche pianta, un tavolino basso. Legno scuro. Se ne sta in mezzo a tutto. È il vero protagonista. Sul tavolino, ogni genere di campane tibetane, di ogni dimensione. In giro altri strumenti, c’è perfino un grosso Gong in un angolo. Proprio dove sono seduto io.

Il suonatore, il Maestro, la Guida, non so come chiamarlo, non è tibetano, non ha la barba lunga e appuntita, non ha una tunica arancione, né bianca, non ha il cranio rasato.

È un uomo normale, si chiama Beppe, è italiano, vive qui a New York da non so quanto tempo, tanto. Io non lo conosco, sono capitato qui per caso, come succede a Ny, amici, amici di amici, passaparola, è una magnifica esperienza, vedrai, cose che succedono nelle case da queste parti…

Già perché molto cose succedono nelle case, molte cose interessanti.
Là fuori tutti corrono, ma dentro, nelle case, molti pensano, creano, sentono, vivono.

Io sono fondamentalmente curioso. Un breve saluto ai partecipanti. Lui ha una voce calma, una camicia verde acqua. La gente intorno a me è di ogni genere ed età. Sarebbe difficile con sole nove persone riuscire a creare un panorama più completo, ma non voglio parlare di loro.

Siamo degli sconosciuti saliti a bordo di una nave che sta per salpare e non sappiamo dove andremo, soprattutto io. Mi piace questo genere di viaggi, al buio.

Sono curioso, l’ho già detto, vorrei guardare, ma Beppe consiglia di lasciarsi andare, di sedersi comodi e di chiudere gli occhi, seguire i suoni che iniziano piano, ma portano lontano.

Poi pronuncia una frase: “…per chi non ha mai provato quest’esperienza i suoni saranno nuovi, per chi c’è già stato, i suoni saranno più o meno gli stessi, ma saranno diversi…”.
Quella frase mi entra in testa come se le lettere fossero sottolineate con l’evidenziatore giallo fluorescente.

Suoni uguali che diventano diversi.

C’è tutto qui dentro, in questa frase c’è il concetto del tempo che non è fatto di distinti momenti, ma di un susseguirsi di momenti, mi torna in mente Bergson, il tempo e lo spazio, la materia e la memoria, e poi c’è la diversità della stessa cosa, sembra una cosa assurda è invece è proprio quello che sto cercando anch’io, perché quel suono, quel susseguirsi di suoni verranno percepiti da diversi individui che avranno diverse disposizioni mentali nei confronti di quella stessa percezione, ma in quel particolare momento della loro vita, e in quello specifico attimo della loro giornata.

Derive, liquide derive geografiche, anzi psico-geografiche, senza confini.
Non voglio insistere, rimarcare, cerco la leggerezza.
I suoni entrano nella stanza come onde, lambiscono la sabbia o squassano e trascinano via.

Sensazioni, una vera esperienza, una specie di Viaggio spaziale, nelle profondità della terra o negli abissi di un Oceano totale.

Ho sentito tutti i suoni del mondo, ho visto i luoghi dove sono stato e altre cose meravigliose ancora da vedere.

Ho ascoltato i rulli dei monaci tibetani e ho visto i dervisci dell’Anatolia infilarsi nella terra e sfiorare il cielo. Ho sentito le cicale al sole nello scacciapensieri di un contadino siciliano e ho seguito un sasso scorrere sulle pietre di un ponte irlandese vibrando note di xilofono. Perfino il Gong cinese s’è agganciato alle liane dei sogni per nascondersi nelle ombre di una foresta amazzonica.

Poi quella magica nave mi ha riportato nel porto di partenza, ero sempre lo stesso, ma lo spazio s’era allargato, forse non c’ero capitato per caso in quella casa newyorkese.

– Che musica ascolti, Beppe?

– In quest’ultimo periodo mi si è infilata in testa una canzone di Malika Ayane, s’intitola Perfetta, l’ascolto molto spesso e la uso anche per le fare le mie lezioni d’italiano, è piena di imperativi: Trasformami, Modellami, Costruiscimi…finché sarò perfetta come tu mi vuooooi…questo racconta la canzone, ma alla fine, proprio alla fine, la ragazza dice che avrà pure perso il cielo e la perfezione, ma ha scelto la libertà…”

-…molto interessante, Beppe, credo che anche tu in questa meditazione più che imporre o spiegare le cose, hai suggerito la libertà…grazie.

È stata una bellissima esperienza…

– ciao.

– ciao.

– Un’ultima cosa, Beppe…mi hai fatto venire in mente una frase che mi è sempre piaciuta molto, non mi ricordo più chi l’ha detta:

” Più di un boomerang non torna, sceglie la libertà”.

(L’ha detta Stanislaw Lec)

 

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3 Comments


  • […] A New York succedono parecchie cose, the city never sleeps, dicono. In effetti tutti corrono e il caffè lo bevono per strada in lunghi bicchieroni termici.  […]

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  • Non sai quanto piacere mi abbia fatto sentire finalmente una descrizione personale dell’esperienza del Sounds Meditation. Come sai e come hai visto al ritorno dal “viaggio sonico” è difficile parlarne. Quando ci si lascia andare profondamente al di là delle parole, poi ri-innescare il modo linguistico troppo in fretta è una forzatura non desiderabile … mai poi finisce sempre che dopo un po’ il viaggio diventa remoto, per cui non se ne parla per il motivo opposto. Non ho assolutamente risentimenti al proposito perché è vero che si va lontano, in un mondo dove i soliti riferimenti di spazio e tempo sono troppo ambigui per essere sostenuti nella memoria conscia. A meno che non sia uno come te che è capace di mollare i vecchi paradigmi e registrare ed esprimere l’esperienza ad un altro livello, unendo nella narrazione uno stupore innocente e una complessità non lineare … con leggerezza . Penso che tu viva l’avventura del “viaggio” con una vena poetica ed una curiosità acuta, ossessiva … dove la percezione è il momento artistico. L’espressione è una tua raffinata abilità, una tecnica che intriga la mente di chi ti legge, che forma una cornice perfetta esaltando il contenuto. Con le tue parole rappresenti un ambiente dove l’esperienza si schiude organicamente, semplicemente e profondamente. Presumo che da buon scrittore tu sappia che se non c’è “environment” non c’è esperienza, infatti senza “environment”, a qualsiasi livello, non c’è nulla che possa succedere, esistere … e tantomeno diventare una storia. Comunque, detto questo, con troppe parole, per finire volevo enfatizzare il fatto che la scintilla della tua creatività succede nella percezione, la tua capacità di vedere, ascoltare … e sentire.

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    • tutto questo per me è la vera felicità.
      questo per me è il senso dello scrivere, non raccontare fatti o emozioni registrate e vissute individualmente, ma riuscire ad innescare una reazione, un’emozione nel lettore. Per fare questo c’è solo un modo per me, la sincerità di quello che vivo e che scrivo.
      Hai detto molte cose importanti e lusinghiere per me e valgono molto proprio perché dette da te.
      in pochissime parole,
      scrivendo vorrei riuscire a socchiudere porte, far filtrare una luce, poi ognuno troverà il suo modo di aprire da solo quelle porte.
      Anche tu, con la tua sensibilità hai fatto lo stesso con me.
      Sentire vuol dire vivere, in un momento storico in cui purtroppo si tende spesso a dimenticare.

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