Ero stanco.
Troppo mare. Troppi spari. Mi scoppiavano ancora in testa.
Entrai al Rumbita solo per vederla, per bere qualcosa.
Perché me l’aveva detto quell’uomo con le sue ultime parole…
Due ventilatori giravano lenti. Le lampade sfarfallavano come fiammelle, come i ricordi, come un film troppo lento.
Profumo di caffè, di legno, cuscini, rum…di Esmeralda.
Volevo solo ballare un tango. Chiudere gli occhi e girare con lei.
Volevo perdermi nel fumo di una sigaretta. Dimenticare qualcosa. Affondare in un bicchiere di rum.
Stavo parlando con quella gatta e rivedevo Buenos Aires, la Parda Flora. Lei era una bambina allora.
Adesso era bella. Sugosa come una pesca matura. Persa come una biglia marcata dal gioco.
La porta si aprì come il sipario su una scena diversa.
Profumo di Creed, sigarette inglesi, una divisa che puzzava di cuoio e di tè.
Sanders era un serpente, lo “scorpione biondo”. Brandt era il bulldog. Uno cercava di usare sibili e veleno, l’altro di azzannare e strappare qualcosa.
Cercavano agganci, legami, compromessi, un pretesto per continuare a far soldi in un paese di banane, di gente sdraiata a bere e fumare all’ombra di palme e verande.
Uscirono come maiali che hanno calpestato il giardino.
Lei mi prese la mano. Ballammo un tango così. Senza parole. Senza niente.
Le carezzai soltanto la spalla. Poi scesi più giù, il braccio e, lentamente, sfiorai le sue labbra, come un pianista, suonavo una sola nota.
Lei arraffò la mia mano e mi graffiò il polso.
Mi cercavano tutti. Tutti volevano quella maledetta valigetta. Tutti volevano i soldi.
Io volevo soltanto starmene in pace.
Cercavo la pelle di Esmeralda, sapeva di mare, di conchiglie che rotolano nella sabbia.
Anch’io volevo rotolare.
Libero. Nel mare.
Disegno: ©StefanoBabini Testo: ©MarcoSteiner
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