“Chi una volta sola si è affidato alla sorte è un uomo libero”. (H.H.)
Hermann Hesse aveva scelto il suo rifugio solitario nel Ticino, a Montagnola. La zona si chiama la Collina d’Oro, basta risalire un po’ di curve che portano ad osservare dall’alto il Lago di Lugano oltre i cipressi del cimitero e i boschi di castagni. Davanti alla casa Camuzzi c’è il monte San Salvatore. Sembra di vedere il profilo del volto di un uomo che riposa. Anche questa montagna ricorda il Monsalvato del Parsifal, solo che oggi, in cima alla montagna, al posto del castello di Titurel c’è una lunga antenna che ha la presunzione di continuare a trasmettere segnali in una rivisitazione moderna della potenza del Graal.
Hermann Hesse si era trasferito qui nel 1919, aveva 42 anni e aveva lasciato la famiglia e la sua vita borghese, aveva sofferto la morte del padre, la grave malattia di uno dei suo tre figli, era riuscito a trovare un nuovo equilibrio grazie alle sedute psicanalitiche di un allievo di Jung, ma aveva capito che doveva dedicarsi completamente alla letteratura senza curarsi della precaria situazione economica e degli affetti che avrebbe trascurato. “Klein e Wagner” è la storia di un uomo scisso in due, il piccolo Klein che aveva sempre seguito la voce della ragione e non quella del cuore, eppure Klein, una volta essersi lasciato affogare nel lago di Lugano, raggiunge l’illuminazione: “Chi una volta sola si è affidato alla sorte è un uomo libero”.
Faceva lunghe e solitarie camminate nei boschi, spesso si fermava sotto chiome talmente fitte da rimanere seduto all’asciutto ad ascoltare la pioggia oltre le foglie, poi ritornava a casa portandosi la sua misera cena, castagne e un po’ di vino rosso. Nonostante fosse uno scrittore di fama, pubblicò Demian sotto lo pseudonimo di Emil Sinclair, ma quando vinse il premio Fontaine, per correttezza lo restituì, perché era un premio per scrittori esordienti.
Dopo la pubblicazione di “Siddharta”, “Il lupo della steppa” e “Il gioco delle perle di vetro” divenne ancora più famoso, tanto da essere perseguitato dalle continue visite e subissato dalle lettere degli ammiratori e dagli aspiranti scrittori a cui ogni volta si sentiva in dovere di rispondere. Per questo motivo fece scrivere sulla porta di casa quell’avviso contro le visite importune, ma i bambini del posto quando vedevano passare quel signore tedesco alto, magro e un po’ stralunato con i suoi occhialini tondi e il cappello di paglia, lo prendevano in giro canticchiando un ritornello che faceva una ridicola rima con Bitte keine besùche. La vecchia proprietaria di un’osteria, dove Hesse andava a bere il suo bicchiere di Merlot, a suo modo, se lo ricordava benissimo:
Il suo appartamento nella Casa Camuzzi oggi è un appartamento privato e il giardino non è più aperto al pubblico, é incolto, i sentieri scendono ripidi e scivolosi, dunque è pericoloso per le visite, ma può anche capitare di trovare la porta aperta e un gentile giardiniere in calzoncini azzurri e scarponi militari ci lascia sbirciare mentre continua a strappare le piante di menta che cercano d’invadere ogni cosa e trasformarsi in cespugli. Il profumo é fortissimo, c’è uno splendido, trascurato abbandono e un esuberante rigoglio vegetale da fine estate. Tutto è carico. Gli alberi di foglie d’ogni dimensione e sfumatura di verde, il prato di erbe, i fiori di profumi. Perfino il giardiniere ha capelli talmente fitti e neri che sembra indossi un caschetto di lana.
Grossi mascheroni di gesso si affacciano sul giardino di Klingsor e sorridono, anche i balconi sembrano grosse bocche che ridono, ma le imposte verdi sono sbarrate e ostili come palpebre chiuse o braccia incrociate. L’orologio s’é fermato sulle 7 e 10 da chissà quanto tempo.
Una scalinata di pietra scura scende ricoperta da un pergolato d’uva americana. Gli acini sono grossi come palline da flipper e succosi come un sogno infantile. Ci sono magnolie e palme birmane, ortensie e rose, cedri, glicini e alberi di Giuda. Poi il giardino lascia il posto al bosco, o forse a una vera foresta. Due strane liane contorte abbracciano una conifera che vorrebbe solo svettare libera verso il cielo. Forse è solo un sogno diverso che cerca di catturare la natura normale per renderla ancora più completa, meno ovvia e scontata. Un dio Abraxas fatto di bene e di male, di verticale e orizzontale, di lineare e contorto. Una sorta di caduceo di Hermes in cui caos e ordine si arrotolano intorno all’Asse del mondo. Davanti a tutto e sopra a tutto questo quadro intricato c’è la montagna di San Salvatore protesa verso il cielo, ma c’è anche una grotta di tufo con la sua sorgente d’acqua che stilla in un lento gocciolio e un riflesso ondulante sulle volte di pietra contorte. La grotta si protende verso le profondità della terra, ma un’orchidea selvatica color fucsia la nasconde allo sguardo distratto.
Una specie di Hortus conclusus, come Hesse chiamava la sua stanza di lavoro, cioè un giardino segreto e fantastico dove si racchiudono tutti i concetti e gli equilibri necessari e la terra trova un suo collegamento con il cielo. Un luogo d’isolamento e di conoscenza contemplativa. Anche qui continuano le simbologie con il Parsifal dove si assiste all’antitesi fra la coppa del Graal e la lancia di Longino, mentre qui si assiste all’antitesi diretta fra la caverna e la montagna.
In entrambi i casi lo scopo dell’esistenza sarà l’equilibrio, ottenuto grazie alla presenza contemporanea dei due simboli nel centro originario primordiale: il castello del Graal, il giardino o l’opera di Hesse, l’animo di qualunque individuo.
Muri di pietra e muri di legno delimitano l’incerto cammino sull’accenno di un sentiero.
Si sfaldano, si sbrecciano, si consumano, si modificano, ma resistono nel tempo senza pretendere di rimanere uguali e perfetti.
La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l’accenno di un sentiero, ognuno è una rincorsa della natura verso l’uomo…tutti gli dei e i diavoli che sono esistiti, tutti sono dentro di noi come possibilità, come desideri o vie d’uscita. (Hermann Hesse)
Immagine in evidenza:
Gianni Berengo Gardin mentre fotografa nella casa di Hermann Hesse (marcosteinerphoto)
Le altre due foto ©Marco D’Anna photo
“Così nascono, preziosa e fugace schiuma di felicità sopra il mare della sofferenza, tutte le opere d’arte nelle quali un uomo che soffre si innalza per un momento tanto al di sopra del proprio destino che la sua felicità brilla come un astro e appare a chi la vede come una cosa eterna, come il suo proprio sogno di felicità.”
da Il lupo della steppa
Allora sono libero, libero
e voli fra le Nuvole…
I know you, my friend
https://youtu.be/RHvSCTKyfZI