L’intervista di Emiliano Ventura, pubblicata sul n.26 (marzo/aprile 2016) della rivista Sbam! Comics.
Aspettavo da tempo l’uscita annunciata del fumetto Sotto il sole di mezzanotte di Juan Diaz Canales e Ruben Pellejero (Lizard) con protagonista Corto Maltese, aspettavo anche l’uscita del romanzo di Marco Steiner Oltremare (Sellerio), anche qui tra i protagonisti troviamo un giovane Corto Maltese. Così, incurante di tutti gli impegni, sono felice di aver dedicato un intero giorno a ritrovare nella lettura questo vecchio amico di cui conosco tutto ciò che è stato scritto e raccontato.
Ho cercato di recuperare un’atmosfera prattiana andando a rileggere albi e tavole visti mille volte, ho riletto il primo bellissimo capitolo del romanzo Una ballata del mare salato, lì dove si racconta della Petenera e dove il giovane Corto si incide da solo la linea della fortuna sulla mano.
Per Corto Maltese si parla tanto di libertà, parola abusata e ormai svuotata quasi di senso, preferisco ricondurre la sua condotta all’autonomia del pensiero e all’indipendenza. Non ama le bandiere, né gli slogan, né gli eroi di professione, ed è facile capire perché scompaia quando in Europa si affermano i nazionalismi con la loro vuota retorica di regime. Corto Maltese è imbevuto di cultura ebraica, di Cabbalah, ha per amici integralisti Islamici e criminali ortodossi russi. La sua identità nazionale è debolissima e per questo si apre tutte le altre, ai ribelli irlandesi e russi, ai pirati e agli sbandati, si beffa della massoneria e si tuffa nella quete du Graal oppure alla ricerca di Mu.
La sua linea degli occhi è iscritta nell’orizzonte ed è naturalmente proiettato verso di essa, per questo non potrà mai finire l’Utopia di Thomas More né amare Pandora Grosvenor.
Marco Steiner nel 1996 aveva completato il romanzo incompiuto di Hugo Pratt Corte Sconta della Arcana. Nel 2014 è uscito un suo romanzo Il corvo di pietra dove figura ancora un giovane Corto maltese. Marco Steiner è stato amico e collaboratore di Hugo Pratt e pochi come lui possono entrare nel mondo narrativo di Corto con la stessa eleganza del creatore Hugo, collaboratore di Patrizia Zanotti e della Lizard Edizioni continua a viaggiare e a scrivere racconti con protagonista il marinaio Maltese.
Non è stato semplice, è stata un’avventura, e le avventure non sono mai semplici né lineari, come i veri viaggi. Il bello sta nella maniera in cui si riesce a comprendere e affrontare le difficoltà, il modo in cui si superano gli ostacoli, tutto questo si chiama imparare. Il mio atteggiamento fondamentale e costante nei confronti di Hugo Pratt è stato sempre quello del rispetto. Ho cominciato facendo il “ragazzo di bottega”, restavo in silenzio e guardavo, andavo a cercare i libri che gli servivano e nel frattempo leggevo pagine a caso in quelle storie o nei volumi che attiravano il mio sguardo e spesso scoprivo o ritrovavo parole, isole, volti, spunti. La curiosità cresceva. È stata un’amicizia e una confidenza che si sono sviluppate lentamente e progressivamente nel tempo, all’inizio ero timido e riservato. Tutto è partito dalle nostre comuni passioni letterarie e musicali, poi è arrivato il cinema, con tutti i film in varie lingue che mi ha fatto vedere a ogni ora del giorno e della notte, e poi c’era il grande amore comune per il viaggio, le conversazioni che collegavano i percorsi reali a quelli immaginati fra le pagine dei libri. Proprio dopo un lungo viaggio nel Pacifico alla ricerca dei suoi sogni giovanili, dei suoi “appuntamenti” mancati, Pratt mi raccontò quello che aveva visto e, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, mi propose di scrivere per lui quei ricordi e, di fronte al mio enorme e ammutolito stupore, s’inventò il mio pseudonimo, facendomi “nascere” come scrittore. Fu sempre lui che mi propose di completare Corte Sconta detta Arcana nella versione romanzo. Non dimenticherò mai quel momento e tutte le difficoltà superate si sono tramutate in un niente al confronto di un onore del genere.
La mia risposta è breve e molto semplice: assolutamente no, la storia l’ho letta e apprezzata quando i due autori spagnoli l’hanno completata. Ho fatto solo una piccolissima cosa, ho tradotto in italiano il brano citato all’inizio del fumetto, sono pochi versi tratti dalla poesia The cremation of Sam McGee di Robert W. Service e non esisteva una versione nella nostra lingua, l’avevo sentita “cantare” dal grande Johnny Cash e ho provato a seguire quella “musica”.
Credo che la sceneggiatura di Canales e i disegni di Pellejero riflettano la loro dichiarata ammirazione per tutta l’opera di Hugo Pratt, il modo di impostare il racconto, le giuste citazioni storiche, i personaggi particolari che raccontano storie nelle storie, ma nello stesso tempo dimostrano anche il loro stile personale. Del resto bisogna assolutamente ricordare una cosa che potrebbe facilmente sfuggire, noi non conosciamo Corto Maltese attraverso una sola storia, ma attraverso 29 avventure e il Corto legato alla zattera in mezzo al Pacifico è molto diverso dal Corto che si addentra e vaga nel magico mondo di Mü. Credo che Canales e Pellejero abbiano spazio per evolvere e sentirsi sempre più a loro agio in compagnia del marinaio di Pratt. Del resto, secondo me, l’importante è che lo spirito di Corto continui a vivere carico di quell’autonomia di pensiero e dell’indipendenza di cui parlavi e di cui noi “vecchi” lettori di Pratt ci siamo alimentati, se i due spagnoli, o altri che seguiranno, saranno capaci di scrivere e disegnare storie con queste caratteristiche per il futuro pubblico del fumetto, avranno fatto un buon lavoro e soprattutto un regalo per i giovani lettori di Corto. Corto Maltese ha una caratteristica: alimenta il sogno e stimola ciascuno a esprimere le proprie potenzialità, di questo è impregnata la struttura portante del suo veliero e fa molto bene navigare con lui, si scoprono tante cose, dentro e fuori di noi. In ogni caso, chi si avvicina a Corto, sceneggiatore, disegnatore o scrittore che sia, ha in testa una cosa ben chiara: Pratt era un Maestro inarrivabile, ma non è mai stato l’artista che desidera isolarsi nel suo castello impenetrabile ed esclusivo, anzi, era generoso con gli artisti, parlava e si confrontava con loro e poi si autodefiniva “fumettaro” tanto per togliersi di mezzo dalle velleità e presunzioni letterarie e poi si raccontava in un libro con un titolo che è già tutto un programma: Il desiderio di essere inutile. E così Corto continua a vivere, racconta altre storie e sorride perché Pratt ha tracciato una linea indelebile, non solo sulla mano del suo marinaio maltese.
Certo che me lo puoi chiedere ed è un piacere per me rispondere, perché completa quello che ho già iniziato a dire. Ho passato sette anni della mia vita a stretto contatto con Hugo Pratt mentre lui creava le sue ultime opere, poi è passato del tempo e dal 2004 al 2011 ho trascorso altri sette anni girando il mondo sulle tracce del suo marinaio per scrivere le prefazioni a tutte le sue avventure. Cos’è successo alla fine? Che mi sono infilato nel mondo di Corto, ma anche in quello di Hugo Pratt in un miscuglio complesso, dove i confini fra verità e finzione erano esili, dove il modo di pensare, agire, parlare di Pratt si mescolano con quelli di Corto, acqua che evapora, ritorna pioggia e fa germogliare semi nascosti. Il susseguirsi d’immagini che provenivano dalla mia memoria si sovrapponevano alle realtà che incontravo lungo la strada, disegni, fotografie, sequenze cinematografiche, musiche, silenzi, gli occhi e le storie della gente incontrata lungo il percorso. È stato bello vagare, perdermi e avere, a volte, la sensazione di camminare con le suole di vento di Corto, di vedere le cose in maniera diversa, mentre sentivo quello che accadeva intorno a me attraverso gli occhi azzurri e visionari di Hugo Pratt. Sono stati attimi fugaci, sempre carichi del rispetto di un Maestro lontano e irraggiungibile, ma c’era qualcosa che sentivo crescere dentro e allora è arrivata l’idea: perché non pensare a un altro Corto? Quello che Pratt non aveva raccontato, quello da immaginare senza copiare, da cercare senza seguire. Prima Hugo Pratt e poi Corto mi hanno guidato verso questo nuovo intricato sentiero. Ognuno di noi è il frutto di diversi fattori, c’è la genetica che viene dalle radici familiari, ci sono le amicizie che accompagnano e segnano la nostra adolescenza e poi ci sono le esperienze che colorano, migliorano, accrescono, graffiano, piegano o rallegrano la nostra vita. E allora ecco la soluzione: sapevo chi erano i genitori di Corto (anche se in maniera approssimativa), sapevo che il Maltese era nato nel 1887 e sapevo cosa gli succedeva dopo il 1904, all’epoca della guerra russo-giapponese. Conoscevo le origini e la sua vita da uomo, a quel punto, conoscendo il suo creatore e il suo modo di raccontare, ma anche d’improvvisare, mi sono inoltrato in quel sentiero, ho rischiato e ho provato a immaginare qualche esperienza importante per un giovane Corto. Un Corto sconosciuto, quello che doveva imparare a navigare e a vivere prima del 1904 e ho scelto un periodo preciso, dal 1901 al 1904. Ho immaginato un’esperienza forte per un ragazzino di 14 anni, l’ho fatto partire in una notte piovosa e pericolosa dalla Scozia, dopo aver lasciato a terra quel padre così poco conosciuto. Ma Corto non è solo, parte con il comandante Kee, il miglior amico di suo padre, e chi era il vero padre di Corto se non Hugo Pratt stesso? E non è un caso se ho scelto quel nome, perché Kee in italiano si pronuncia “chi”. Un personaggio che amo molto, il comandante Kee, è un po’ il “Nessuno” di Ulisse, perché per me Corto è l’Ulisse del nostro periodo letterario e perché l’Odissea è il più bel romanzo d’avventura del mondo, da queste premesse poi tutto continua, progressivamente, perché nell’equipaggio ci ho messo una ragazzo svelto, un po’ più grande di Corto, Bertram, maldestro e sbruffone e poi c’è un soldato, il rinnegato filosofo Riley…insomma ho cercato di fare un pezzo di strada, anzi di mare insieme a quello che il giornalista Vincenzo Mollica, facendomi un grandissimo complimento, ha definito il “mio” Corto Maltese.
È proprio così, Moitessier, tanto per cominciare a ribadire le affinità, era nato a Hanoi e aveva iniziato a navigare su una giunca dalle parti dei mari dove si svolge il nucleo portante della storia di Oltremare, la sua prima vera barca la chiamò “Snark” come quella di Jack London, una delle mie grandi passioni letterarie. In seguito la sua barca più famosa fu “Joshua” un piccolo ketch molto simile a quello usato da Corto. Moitessier non era solo un vagabondo dei mari, era uno che s’imbeveva della poesia del mare al punto da parlare con la sua barca, anzi da riuscire ad ascoltarla quando lei gli disse: “…dammi vento e ti darò miglia”. Una delle migliori definizioni di Corto, secondo me, è questa: “Corto è l’antieroe delle scommesse vinte e non riscosse”, e questo è esattamente quello che ha fatto Bernard Moitessier quando, in testa a una regata che gli avrebbe fruttato un premio in denaro di cui aveva bisogno, decise di dare volta al timone senza tagliare il traguardo e continuò a navigare in giro per il mondo. Il mare porta con sé alcune gemme che s’infilano nel profondo dell’anima del vero marinaio. C’è sempre una specie di malinconico distacco, c’è l’amore per i silenzi e gli spazi infiniti, la sensazione del dilatarsi e perdersi del tempo e quello sguardo salato di orizzonti di cui hai parlato all’inizio di questa intervista. La sensazione che si ha quando si mollano le cime dalla bitta che collega una qualsiasi barca al porto e il momento in cui, bagnate, si riavvolgono a bordo è un istante magico: si parte per un qualcosa d’indefinito e allo stesso tempo carico di possibilità. Tutto questo è particolarmente vero per un velista che sa benissimo che le mete ci sono, le rotte anche, ma là fuori, sono il mare e il vento a comandare e la regola del gioco è fatta di un sottile equilibrio fra professionalità e rispetto. Professionalità, nel senso di conoscere esattamente quello che va fatto nelle varie situazioni, soprattutto quelle estreme, e rispetto per la forza della Natura. Non è mai una sfida e non ci sono traguardi né imprese perché il marinaio sa che nell’equilibrio c’è una sensazione d’indipendenza e autonomia impagabili, ci si sente “quasi” liberi, si è di casa ovunque e in nessun luogo, la barca è la casa e nello stesso tempo il luogo dell’abbandono. Il senso generale del viaggio diventa una calma inquietudine e tutto il resto scompare. Se ripenso a Maqroll il gabbiere di Mutis mi cala addosso una sensazione simile a quella delle madeleine di Proust, sento il sapore salato della pioggia in Bretagna perché mi si disegna intorno un ricordo indelebile: quello del mio viaggio in macchina da Grandvaux a Saint Malo dove Pratt incontrò Mutis per un Festival del Viaggio. In quel lungo viaggio in macchina, mentre guidavo col sottofondo musicale di Coltrane, si aprì il mio primo vero spiraglio di amicizia con Hugo Pratt. Quando li vidi sul palco scherzavano fra loro, erano immensi. Se ci ripenso adesso Pratt non solo mi aveva aperto uno spiraglio alla porta segreta della sua amicizia, mi aveva portato in un mondo incantato, non ero stato io a guidare quella macchina, era stato lui a portarmi al festival della Letteratura di Viaggio in quella serata piovosa e nei giorni successivi nella foresta di Paimpont, nella Brocéliande delle favole del ciclo bretone. “E quando un adulto entra nel mondo delle favole non riesce più ad uscirne”.
Non specificamente, le cose che sicuramente mi ha ripetuto più volte riguardo allo scrivere sono tre: l’importanza del titolo, dell’incipit e soprattutto del finale. In genere lui iniziava una storia come se l’avesse già vista in una specie di tela arrotolata da dispiegare lentamente dopo aver già immaginato come andava a finire. Credo che i 13 modi si riferiscano principalmente al modo in cui avrebbe potuto raccontare la sua vita nel corso dell’intervista con Dominique Petitfaux e, dato che mi è capitato da poco di scrivere una sua biografia non precisamente cronologica, ma quasi romanzata, mi sono reso conto ancora di più come l’incrocio Pratt/Corto sia una storia a sé, un rapporto talmente articolato da farmi immaginare che le notizie su Corto Maltese Hugo le abbia davvero sapute da quel fantomatico Raul Obregon Carranza che apre con la sua lettera a Ivaldi Una Ballata del Mare Salato, o forse è stato proprio Cain che gli ha raccontato tutto? In ogni caso ogni storia può essere raccontata in molti modi perché non esiste mai una sola verità, lo sa bene Corto quando s’incontra con “un altro” lui in La casa dorata di Samarcanda e lo sa bene Hugo Pratt quando alla fine di Corte Sconta detta Arcana presenta i vari punti di vista dei personaggi che hanno interpretato la sua storia. Sono quelle le piste che Pratt ha sempre lasciato aperte per il lettore che volesse continuare a cercare, o per lo scrittore o il disegnatore che volessero provare a immaginare qualcosa ancora un poco più in là. Comunque tornando alle 13 maniere di raccontare la vita di Hugo Pratt e riguardando a quel libro si scoprono tante verità e tanti giochi fatti di numeri. Petitfaux costruisce il volume in due parti, dove ciascuna è composta da 7 capitoli, il primo gruppo riguarda i 7 periodi della vita cronologica di Hugo Pratt, mentre nel secondo si affrontano i suoi 7 mondi: il viaggio, le culture, l’esoterismo, i miti, il mondo femminile, quello di eroi e cavalieri e infine quello del “desiderio di essere inutile” e dunque alla fine non è il 13, ma è il 7 quello che Pratt sceglie, un numero cabalistico, quello delle sette porte, note, cieli e soprattutto delle 7 chiavi, dove l’ultima aprirebbe il paradiso terrestre. Poi parla delle 7 vite del gatto e aggiunge che “…per vivere 7 vite bisogna morire sei volte”. Passaggi, direi, ecco quello che serve.
In parte ti ho già risposto prima, qui aggiungo che ho sempre amato i “romanzi di formazione”, a partire da L’isola del tesoro di Stevenson, Martin Eden di London e Demian di Hesse fino a Il giovane Holden di Salinger, ma la base di questa mia scelta per Oltremare e per Il corvo di pietra, in fondo, è proprio Una ballata del Mare Salato perché in questa storia il protagonista non è Corto Maltese, ma due ragazzi, Cain e Pandora, che iniziano la storia come viziati rampolli di una ricca famiglia australiana e terminano la Ballata trasformati in un uomo e una donna che non hanno superato soltanto una tempesta e un naufragio, ma hanno conosciuto la guerra dal vivo, le popolazioni indigene del Pacifico, i pirati e, dopo tutte queste prove, sono diventati persone migliori. Con i miei romanzi sto facendo un viaggio in compagnia di Corto, assisto e partecipo alla sua crescita, e forse cresco con lui che si lascia accompagnare, per il momento, ma sono sicuro che un giorno vedrò una vela lontana mentre scompare all’orizzonte.
Ti ho già detto che la mia vita da scrittore è iniziata nella biblioteca di Hugo Pratt, sai cosa vuol dire? Che la cosa più bella per me è partire intessendo basi solide, una specie di schema portante, fatto di precisi riferimenti storici, con un tavolo coperto da mappe, con gli occhi dei personaggi che iniziano a guardarmi, i ricordi di esperienze vissute che s’inoltrano nei miei sensi come profumi lontani e poi arriva il magnifico momento in cui sento la fantasia che ha voglia di partire libera. Faccio un bel respiro e inizio a immergermi nella storia come fa il pescatore di spugne Kokinoiannis nel mare Egeo per lasciarmi sorprendere dal fatto inaspettato, quello che fa saltare qualche paletto e mi obbliga a rivedere la costruzione per poi ricollegare tutto. Quella base solida intanto s’è dilatata e sono entrati altri elementi e i personaggi iniziano a conoscersi meglio e a portarmi in giro con loro. Inizio come un ricercatore sapendo che quello che sto cercando non sarà poi così indispensabile, è una mappa che mi serve per partire e che potrebbe condurmi ben oltre il “tesoro”. Una cosa è certa, so già che ci sarà qualcosa di non detto, perché se c’è una cosa che mi piace fare scrivendo è raccontare, mentre se ce n’è un’altra che non amo è spiegare.
Istanbul per me è un non-luogo, un momento di passaggio, la fine e l’inizio di una parte del viaggio di Oltremare, ma soprattutto di un certo tipo di gioventù di Corto Maltese. Non serve vedere tutto, l’importante è andare, vagare, essere sempre disposti a cercare, concludere un ciclo ed essere pronti a ricominciare. Le zone in cui si svolge la storia a Istanbul sono zone buie, piovose, una parte degradata del porto, la collina e il cimitero di Eyüp dove andava anche un altro grande viaggiatore, Pierre Loti, ma c’è anche la terrazza fiorita di rose di un altro personaggio e i cibi armeni, c’è un barlume di luce, ci sono i contrasti. Istanbul è il confine fra Europa e Asia, il punto di contatto fra il grande mare Mediterraneo e la grande terra che si estende misteriosa e affascinante verso Oriente, il luogo dove nasce il sole. I versi di Mutis parlano di nostalgia e rimpianto, parlano del malinconico errare di Maqroll, parlano di morte, ma sottintendono anche tutto ciò che è stato e il desiderio di andare, in direzioni diverse, alternative. Se non ricordo male, Fabrizio de André, il cantante che mi riporta immediatamente alla stagione libertaria e romantica della mia gioventù, ha scritto da qualche parte che il testo della sua Smisurata preghiera era in parte ispirato ai racconti di Mutis e questo eleva ancora di più le tematiche di quel determinato tipo di mondo di emarginati che oggi più che mai sono i veri “avventurieri” da rispettare, del resto io sono cresciuto leggendo le storie degli sbandati di Pian della Tortilla di Steinbeck. Danny, Corto Maltese, Maqroll, Faber conoscono bene quel mondo, l’umanità profonda di chi ha vissuto o deve vivere il distacco non per eroismo o per scelta, ma per necessità. Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione è per loro che Faber ha scritto questa sua preghiera laica, perché non c’è avventura più grande e disperata di lasciare tutto per attraversare il mare o il deserto in cerca di una nuova vita, qualunque essa sia, basta che sia lontana dal nulla. Lo sanno bene i marinai e lo sanno bene questi disgraziati che “non vedranno mai Istanbul o Pozzallo o le coste di un’isola greca”. Corto Maltese e Maqroll parlano di viaggi e di libertà, ma parlano anche alla nostra sensibilità e allargano il nostro modo di vedere la vita, il mare è molto al di là del giardinetto recintato del nostro egoismo, separa le terre, ma consente anche il viaggio per raggiungerle. Il mare è carico di possibilità, come la vita.
Marco ti ringrazio per il tempo che hai voluto dedicarci, ormai so che Corto è veramente come Re Artù nella bellissima Sogno di un Mattino di Mezzo Inverno; quando ci sarà bisogno di lui, o più semplicemente quando sentiremo la sua mancanza, lui tornerà a raccontarci le sue storie. Come ha più volte ribadito George Ansell, Gran Bardo della tradizionale Società dei Bardi di Cornovaglia, nell’antica lingua cornica: Nynsyn Marow Mightern Arthur (Il re Artù non è morto).
https://www.youtube.com/watch?v=CkEf9jVQmbU