Isole di ordinaria follia. 1 La professoressa di lettere

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Isole di ordinaria follia. 1 La professoressa di lettere

Certe volte ci si sente reclusi, bloccati da qualcosa.

Isole di ordinaria follia (Edizioni Studium, Marcianum Press) è un libro che è nato dopo una visita all’ex-manicomio di San Servolo, una piccola isola in laguna davanti a Venezia. Ho potuto leggere le schede sanitarie di molti internati ed è nato questo libro, con le fotografie di Gianni Berengo Gardin e di Marco D’Anna e con la guida delle parole di un grande amico psicoterapeuta, Antonio Dragonetto.

Ho provato a immaginare i pensieri e le parole non dette di chi non ha mai potuto raccontare la sua storia.

In certi momenti di ordinaria follia forse può far bene provare a pensare a chi è stato recluso davvero.

La professoressa di lettere

 Ho letto tante pagine nella mia vita

e tante ne ho insegnate ai miei ragazzi e ragazze,

poi qualcosa è cambiato,

non mi volevo alzare, non volevo uscire,

restavo a casa,

non volevo vedere nessuno,

studenti, professori, la gente per strada,

non volevo fare niente,

volevo solto restare in casa, in pace, da sola, al buio.

Volevo dormire,

e perdermi nel buio, senza neanche sognare.

Chiudevo le tende,

odiavo la luce,

chiudevo gli occhi, cercavo il silenzio.

Sentivo un peso,

una massa indistinta lentamente mi avvolgeva la testa,

m’impediva di aprire gli occhi,

non riuscivo a vedere.

Non potevo leggere,

non volevo parlare.

E sono arrivata sull’isola.

Sola,

in pace.

Continuavano a chiamarmi “professoressa”,

mi sembrava un’offesa, mi dava fastidio.

Poi una mattina mi svegliai con un pensiero,

una specie d’idea conficcata nel cervello,

qualcosa che doveva uscire,

non la potevo bloccare,

non capivo, sentivo qualcosa, una sensazione indistinta,

una bomba che doveva esplodere,

faceva paura.

Chiusi gli occhi e provai a restare immobile nel letto, aspettavo, non passava.

Mi alzai piano e iniziai con le solite cose, la routine,

poi mi fermai immobile, davanti alla finestra bagnata,

guardavo,

volevo soltanto guardare, senza pensare.

Il naso sfiorava il vetro freddo

il respiro l’appannava e quella nebbia, lentamente, spariva,

le gocce di pioggia disegnavano bolle di luci e riflessi,

si allargavano, colavano,

dolc come lacrime,

come le mie lacrime, ormai troppo lontane,

le sentivo, tornavano dentro.

C’era verde del giardino,

c’era il grigio lontano del mare,

tutto il resto era scomparso.

Poi parole sepolte si accesero dentro:

 Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore da ubriaco.

Poi, come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Era la poesia di Montale che avevo sempre amato senza capire perché.

La conoscevo bene, la recitavo, la spiegavo, adesso finalmente la sentivo,

era tutto chiaro,

non ero più sola.

Alberi case colli per l’inganno consueto

Non c’erano virgole, pause, momenti d’attesa.

Tutto continuava in silenzio,

lo stesso silenzio,

avevo capito il segreto,

un solo ricordo,

l’unico uomo che avevo amato

e poi lasciato.

Lui non sapeva parlarmi d’amore,

non aveva studiato,

mi veniva solo a trovare, ad amare,

veniva solo per lui,

io ero la donna del porto

e lui il marinaio.

Non lo potevo accettare.

Allora non riuscivo a pensare, parlare, ero soltanto felice,

ma soltanto felice non basta, io volevo certezze.

L’amavo ma non potevo fuggire dal resto,

da me, dall’educazione borghese,

erano cose che non mi potevo lasciare alle spalle.

Sentivo il suo odore, il profumo dei porti lontani,

perdeva grani di pepe dalle tasche scucite,

avrei voluto fuggire con lui,

non dovevo pensare,

ma l’aria era fredda e lui aveva lo sguardo lontano.

Non c’era l’aria di vetro e non si compì il miracolo,

ma ruppe l’inganno consueto e penetrò il mio segreto.

Adesso resto qui,

davanti a un vetro rigato di lacrime, sola.

Sola

sull’isola,

nell’aria di vetro

e le gocce di pioggia

mi svelano il lontano segreto,

il mio amore perduto.

Lo nascondo in silenzio,

in quest’aria di vetro.

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