Jack London

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Tutti noi abbiamo una stella con la quale orientarci.
Quando iniziai con il fotografo Marco D’Anna i viaggi di ricerca de “I luoghi dell’avventura di Corto Maltese”, non sapevo che Jack London sarebbe diventato la nostra stella.

 

Come comincia.

C’è un giornale francese, Le Matin, che  nel 1981, commissiona a Pratt una storia a fumetti da pubblicare a puntate nel corso di un anno. Una striscia quotidiana in bianco e nero e una tavola settimanale a colori, un bel lavoro per Hugo, come nei classici quotidiani americani. Nelle sua intenzioni, Corto Maltese, sarebbe comparso in una bella tavola a colori, così Pratt inizia a raccontare la sua storia con il sottofondo della guerra fra Russia e Giappone nella Manciuria del 1905 e lo fa a modo suo, mescolando la realtà storica alla fantasia. Disegna le trincee giapponesi e l’orgoglio degli ufficiali nipponici, lo sbandamento delle truppe russe e la follia di una guerra in cui c’è chi continua ad uccidere nonostante la guerra sia già finita. La sua idea iniziale era quella di far incontrare in questo ambiente i suoi due protagonisti Corto e Rasputin e di farli poi imbarcare dal Mar Giallo con l’intenzione di raggiungere l’Africa alla ricerca delle miniere di re Salomone.

C’è un giornale americano, The San Francisco Examiner, che nel 1904 invia in Giappone un giovane scrittore che ha appena pubblicato un romanzo che sta già avendo un discreto successo, s’intitola “Il richiamo della foresta”. Lo scrittore ha problemi in famiglia, si sta separando dalla moglie e ha due figlie piccole da mantenere, l’incarico come corrispondente di guerra in un paese tanto lontano capita al momento giusto, è qualcosa di dirompente, un’occasione per staccare, é proprio quello che ci voleva. Sarà pagato bene e questo è importante per il mantenimento delle bambine, in più potrà mettere un oceano in mezzo alle continue discussioni con la moglie e potrà forse ricavare nuovi spunti per una storia futura. Questo giovane scrittore di 28 anni si chiama Jack London.

Questa è realtà e Pratt non si farà sfuggire l’occasione, farà incontrare Jack London con i suoi protagonisti e quando la storia di Pratt si chiuderà in anticipo, per una discussione con l’editore, magicamente, non sarà una storia incompiuta, ma sarà un’altra storia.
Non ci sarà l’avventura nel Regno di Saba alla ricerca di un tesoro lontano e nemmeno una storia di guerra, “La giovinezza” sarà un racconto sull’amicizia e sull’onore, sulla libertà, la follia, il rigore. Un intreccio di dialoghi serrati definirà i diversi atteggiamenti degli uomini di fronte all’assurdità della guerra. Una guerra poco conosciuta eppure molto importante per il contesto storico in cui si svolse e per le conseguenze anche indirette che avrebbe provocato in seguito.
Oggi, alla fine di maggio del 2008, pochi giorni dopo il terremoto che ha squassato la lontana provincia del Sichuan, ci siamo noi che dobbiamo introdurre questa storia zeppa di cose da scoprire fra le righe. Una storia che non parla solo di guerra, ma parla di Jack London e di corrispondenti di guerra, parla di bordelli e di oppio, di triadi cinesi e di Yakuza giapponesi. C’erano due modi di fare, quello di studiare, spiegare e illustrare fotograficamente l’interessantissimo contesto storico che faceva da sottofondo al racconto di Pratt oppure quello di venire sul posto alla ricerca di un ricordo o del profumo di memorie che forse oggi non ci sono più.
Naturalmente abbiamo scelto la seconda ipotesi.
La Cina è in un momento di profondo cambiamento, un grande paese in cui la spinta verso il progresso e la modernizzazione più radicale portano a spazzare il passato e spesso anche la cultura legata a quel passato.
Le città crescono e si modificano come in uno spot girato ad alta velocità. Squadre di operai lavorano giorno e notte per demolire vicoli di case di mattoni che ricordano i vicoli dove Jack London viene assalito dai banditi tungusi e salvato dal tenente Sakai, l’uomo che gli salva la vita per poterlo sfidare e uccidere personalmente in duello.
Le ruspe scavano immensi crateri maleodoranti che sono pronti per essere riempiti dalle odierne trincee, fatte di grattacieli grigi e squadrati pronti ad accogliere le case dei nuovi ricchi.
C’è tutto un mondo che sta cadendo a pezzi, un mondo sgretolato, arrugginito e logorato dall’incuria, un mondo stanco, che non riesce più a stare al passo e c’è un mondo nuovo che incombe, ma è confuso, disordinato e già sbiadito, forse non ha ancora la forza per vibrare la spallata definitiva a quei mozziconi di muri sporchi. Forse aspetta, ma intanto si consuma, s’indebolisce in una difficile illusione.
Non è stato facile trovare riferimenti reali a quel periodo storico, ma noi abbiamo seguito un metodo tipicamente prattiano: lo studio della storia e la ricerca un po’ casuale e un po’ istintiva di sensazioni e immagini che avrebbero potuto far parte di quel momento e poi c’è stato lo spazio alla libertà, all’accostamento personale. Una visione diversa, attraverso un caleidoscopio che con un semplice giro modifica la geometria e l’aspetto delle cose, ma che, in fondo, riesce a trasmettere quelle sensazioni lontane.
Del resto Rasputin e il tenente Sakai a Mukden si sarebbero potuti incontrare con il generale Chang-Tso-Lin il potente Signore della Guerra cinese che incontrò Corto Maltese in Corte Sconta e Chang avrebbe potuto introdurli a personaggi reali che sarebbero potuti uscire dalla fantasia di Hugo.
Gli odierni centri relax e i karaoke bar di Shenyang sono il corrispondente del bordello frequentato dal tenente Sakai e da tutto lo stato maggiore dell’esercito giapponese e prima ancora dai russi che controllavano la Manciuria.
Sacha è una ragazza che viene da Chita, in Siberia, è alta, bionda, quasi elegante e siede al tavolo con Kathy Lee e Mei Ling e altre quattro ragazze cinesi, sono massaggiatrici, prostitute, accompagnatrici, sono la stessa cosa che cercavano gli ufficiali giapponesi e quelli russi, oggi le cercano i manager americani, i ricchi cinesi, i ricercatori d’affari e piaceri, tutti gli imprenditori occidentali che vorrebbero aprirsi uno spiraglio nell’immenso mercato cinese. Intorno a Shenyang-Mukden non ci sono più le trincee, ma immense gru e palazzi in costruzione, i cantieri adesso sono al centro della città e la Manciuria non teme più il tentativo di conquista da parte dei russi o dei giapponesi, adesso è entrata a far parte di un mercato globale, vuole vendere magliette ed oggetti di plastica, scarpe e tessuti, vuole acquistare benessere e valuta estera, televisori al plasma e Porsche Cayenne. Non importa se l’aria sarà inquinata da milioni di tubi di scarico e da ciminiere di ogni dimensione, non importa se i fiumi arrivano a stento fino al mare e sono altamente inquinati dalle scorie industriali, c’è la fila intorno alla giostra del benessere che gira e chi è in fila da troppo tempo si è stancato, non vede l’ora di salire anche lui per fare un altro giro di giostra, anche se dovesse essere l’ultimo, come diceva Tiziano Terzani.

Ssu-shui ( Acqua morta)

Questa è una pozza d’acqua irrimediabilmente morta,
che non s’increspa neppure al soffio del vento più puro.
Meglio gettarvi rottami di bronzo, ferri arrugginiti
o versarci addirittura gli avanzi del tuo cibo.
Forse il bronzo inverdendo produrrà delle giade
o sui recipienti di ferro sbocceranno fiori di pesco.
Lascia che il grasso si stenda,
come una coltre di seta
e che i germi producano chiazze multicolori…

Wen I-Tuo (1898-1946)

 

Jack London s’era imbarcato a San Francisco, sul “Siberia”, era il 7 gennaio 1904 ed era diretto in Giappone, a Yokohama. Festeggiò il suo ventottesimo compleanno a bordo, in compagnia di una serie di corrispondenti di guerra in cerca di notizie da inviare ai loro grandi giornali che volevano parlare di questa strana ed esotica guerra fra il potente stato europeo e il piccolo Giappone, c’erano James Dunn il grande fotografo del New York Globe, William Straight di Reuters, Lionel James del Times di Londra e altri giornalisti famosi, fra loro si chiamavano scherzosamente “Avvoltoi” perché erano pronti a gettarsi come uccellacci sulle prime notizie di guerra, di spari, di morti.
Jack London era un inviato particolare e molto moderno, lui, il cercatore d’oro del Klondike, il pirata di ostriche della baia di San Francisco, l’avventuriero dell’Alaska, lo scrittore, si era portato una macchina fotografica invece del taccuino d’appunti, e nel 1904 non era così abituale saper usare una macchina fotografica e non era neanche così comodo portarsela in giro, ma lui voleva “registrare i rumori e gli odori della guerra come gli scarponi dei soldati in marcia e il fumo dei fuochi da campo…”
Quando i corrispondenti arrivarono a Tokio, in pratica, furono confinati e rinchiusi nel lusso dell’Imperial Hotel e qualcuno cercò anche di spiegare al giovane London che altri corrispondenti avevano già descritto la battaglia navale di Yalu del 1895 fra giapponesi e cinesi continuando tranquillamente a bere birra e whisky sul bancone del bar dell’Imperial, avrebbe dovuto soltanto aspettare e iniziare a scrivere da lì, con un po’ di fantasia, e a lui di certo la fantasia non mancava. Ma Jack non era di questa opinione e verso la fine di gennaio, senza dirlo troppo in giro, prese un treno e se ne andò a sud verso Kobe e da lì raggiunse Moji proprio davanti allo stretto di Tsushima dove, il 27 maggio del 1905, si sarebbe consumata l’ultima tragica battaglia navale fra russi e giapponesi e dove l’ammiraglio giapponese Togo avrebbe annientato completamente l’intera flotta russa salpata quasi un anno prima dal mar Baltico per compiere un eroico e inutile tentativo di estremo soccorso.
L’ammiraglio russo Rozestvenskji fu ferito quattro volte e salvato dai suoi marinai che lo estrassero letteralmente dai rottami della sua corazzata in fiamme, la Suvorov, lo legarono alla maniera di Corto su una zattera in sughero e lo portarono in salvo. Prigioniero, ferito, ma vivo.
L’ammiraglio Togo riservò gli onori del bushido al nemico sconfitto e lo andò a trovare personalmente nell’ospedale di Sasebo. L’ammiraglio russo era coperto di bende, ma Togo gli prese la mano e gli disse:” La sconfitta è una sorte che può toccare a chiunque di noi. Nessuno deve vergognarsene. No, importa soltanto fare il proprio dovere. Nei due giorni in cui ha infuriato la battaglia, lei, con tutti i suoi uomini, ha compiuto gesta meravigliose. Vorrei esprimerle il mio rispetto e insieme il mio cordoglio. Spero che lei guarisca al più presto”.
Rozestvenskij sostenne lo sguardo di Togo e riuscì a sussurrare: “ La ringrazio di essere venuto da me. Non mi vergogno più di essere stato vinto da lei”.
C’è qualcosa in comune, ma di molto distante, fra questa scena d’onore e quella che vede il tenente Sakai nella storia di Pratt inchinarsi di fronte al “porco bianco” Jack London che però ha salvato eroicamente un suo uomo ferito, ma Jack London non sa che farsene di quel ringraziamento, non sa che farsene di quel codice d’onore, risponde secco al tenente Sakai:
“Il capitano Sibauchi è un mio amico, l’ho fatto per salvare un amico, non per mettermi in mostra ai vostri occhi, tenente Sakai. Non so che farmene delle vostre scuse, ho altro a cui pensare.”
Nella vignetta successiva, Jack si allontana nel fumo della battaglia e nel vento mentre il tenente giapponese rimane impettito a osservarlo con i pugni stretti lungo i fianchi.
In quella vignetta sono racchiusi e sintetizzati due mondi agli antipodi.
C’è tutta l’enorme distanza umana e culturale fra London e Sakai. Da una parte c’è l’autore de “Il richiamo della foresta” e “Il vagabondo delle stelle” storie che sono puri inni alla libertà, dall’altra c’é il rigore e la disciplina di un ufficiale giapponese, di un guerriero Ninja che non esita a compiere il sacrificio di tagliarsi il mignolo in segno di scusa secondo il codice d’onore Yakuza, eppure continua a perseverare nell’intento di portare a termine la sfida proprio nei confronti dell’uomo a cui attribuisce il massimo gesto d’onore.

Ken-dõ è la via della spada.
Spada e cuore sono la medesima cosa.
L’essenza del Bushido è prepararsi alla morte, mattina e sera, in ogni momento della giornata. Quando un samurai è sempre pronto a morire, padroneggia la vita.

Jack London era arrivato in treno a Moji e cercava d’imbarcarsi per Chemulpo, in Corea, il punto di raccolta delle armate giapponesi dirette in Manciuria, intanto scattava tranquillamente le sue foto alla gente, alla città fortificata, ma venne notato dalla polizia segreta e arrestato, la macchina fotografica gli venne confiscata e lui fu accusato di spionaggio. Ci volle il suo aristocratico amico giornalista Richard Harding Davis che aveva amicizie con la crema politica e diplomatica dell’epoca per tirarlo fuori da quella situazione, intervenne il ministro degli esteri americano Lloyd Griscom per fargli recuperare l’amata macchina fotografica.
L’8 febbraio London si rese conto che c’erano grossi movimenti di truppe che stavano per attraversare lo stretto di Corea e che la guerra stava per scoppiare. Trovò un passaggio su una nave a vapore diretta a Pusan, nella Corea orientale, ma anche questa volta l’imbarcazione venne sequestrata dai giapponesi.
Jack London non era tipo da arrendersi così facilmente, ormai era quasi arrivato alla metà, inoltre era anche un marinaio esperto, andò al porto e si comprò una piccola giunca, assoldò una ciurma di tre marinai coreani e salpò verso il nord del Mar Giallo.
Era l’11 febbraio, pioveva e il vento gelido insieme a onde ghiacciate spazzavano il ponte aperto della piccola imbarcazione, la temperatura era talmente bassa da ghiacciare l’acqua salata del mare, ma Jack aveva conosciuto i -50° del Klondike e dello Yukon. Sulla giunca non c’erano cabine dentro le quali ripararsi, c’era solo una piccola e fumosa stufa a carbone sul ponte, e il vento che tagliava come un coltello. Mangiarono solo pesce secco e riso, ruppero l’albero, ma alla fine arrivarono a Chemulpo dove intanto era arrivato anche un fotografo inglese amico di Jack che lo descrisse così: “ Jack era irriconoscibile, fisicamente distrutto, aveva le dita delle mani e dei piedi congelate, ma mi ha detto che non gli facevano male e che non gliene importava molto dato che era davvero felice di essere arrivato finalmente al fronte. E’ uno degli uomini più forti e coraggiosi che io abbia mai incontrato, assomiglia molto ai personaggi più eroici delle sue storie”.
London si comprò una cavalla che chiamò “Belle”, un paio di muli e questa volta assoldò una coppia di stallieri e si mise subito in marcia insieme alla Prima Armata giapponese che muoveva verso nord. Attraversarono foreste di betulle e valichi innevati e spazzati da venti gelidi, i soldati si acquattavano fra gli alberi e osservavano i drappelli di cavalieri cosacchi in avanscoperta che avanzavano nel loro territorio per valutare le forze nemiche.

Ci siamo andati anche noi in quelle foreste coperte da larici, betulle e pini coreani a sud dei Monti Changbaishan, il Luogo Sacro, il luogo oggi protetto come patrimonio mondiale della biosfera, il Luogo Sacro da dove originò la dinastia Manciù, il Luogo Sacro dell’etnia coreana, il Luogo Sacro del Re della Medicina Yao Wang, il Luogo dove si trovano gl’ingredienti naturali più preziosi della Manciuria: la radice del ginseng più puro, i funghi selvatici, le corna di cervo, l’uva selvatica, la tigre del nord-est e il suo balsamo, il pino delle Bellezze, le pellicce di martora.
La riserva dei Monti Changbai è un luogo protetto, sembra di essere in un posto a metà strada fra una riserva indiana e Disneyland. I turisti possono entrare e girare solo sui bus verdi dell’organizzazione e sui fuoristrada che collegano fra loro le bellezze di questo immenso parco di salvaguardia della natura. Si devono seguire percorsi prestabiliti su lunghissime passerelle in legno su cui camminare e osservare, per non toccare la terra, per non intaccare minimamente quel paradiso perduto. Centinaia di cartelli invitano al rispetto della natura e illustrano le specie di piante presenti nel parco. La natura è incontaminata e intoccabile, se un albero cade a terra verrà lasciato sul posto a dare nutrimento alla terra, alle radici di un altro albero, ai germogli dei fiori che nasceranno sulla sua corteccia.
Eppure, in questo posto così controllato, siamo riusciti a rimanere da soli, in mezzo a una radura nella foresta di larici, nel silenzio più profondo.
La foresta non è mai silenziosa, c’è il vento che s’infila fra le foglie e fra i rami, il sottile eco della cascata più a monte. Il richiamo di un uccello che ci osserva.
Il lontano rumore di un picchio. Un rumore cadenzato, autoritario, scandisce il possesso, non il suo tempo.
Fa pensare al telegrafo di una tenda da campo, ordini militari. Una comunicazione in codice.
Jack London e i fucilieri giapponesi se ne stanno acquattati nella foresta. Ascoltano il rumore degli zoccoli e i nitriti dei cavalli, le nuvole di neve sollevate al loro passaggio.
I cosacchi avanzano, le spade sbattono contro le selle di cuoio.
Si allontano e la neve ricopre le tracce, il silenzio si riprende la foresta.
I giapponesi li aspetteranno molto più a sud, lungo il fiume Yalu.

Le fotografie di Jack London furono le prime ad arrivare a San Francisco e i suoi dispacci parlavano dell’estrema determinazione dei giapponesi e dell’indolenza delle truppe russe: “Niente, a parte un miracolo, potrebbe arrestare un piano che i giapponesi hanno pianificato e messo in esecuzione”.
Stanco delle continue difficoltà nel riuscire a seguire le truppe e a documentare l’avanzata giapponese e l’incombere della battaglia, stanco di essere continuamente ostacolato e punzecchiato dagli ufficiali nipponici, Jack chiese alla direzione del giornale di poter passare all’altro fronte, osservare l’evolversi della guerra dal punto di vista dei russi.
Gli altri cronisti, intanto, erano già stati rimandati a Pyong Yang e continuavano a bere e a fumare al Martin’s Bar.
Verso i primi di maggio, inaspettatamente, gli fu concesso di raggiungere il fiume Yalu, dove il generale Kuroki si stava preparando al guado e all’attacco.
Proprio in quei giorni Jack London che già non sopportava il carattere dei giapponesi si scontrò con uno stalliere che aveva rubato il foraggio del suo cavallo. Lo picchiò pesantemente e fu immediatamente arrestato, questa volta l’accusa era grave: tentato omicidio.
L’amico Richard Harding Davis dovette intervenire di nuovo, Jack rischiava la pena di morte.
Si mosse il presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt e London venne rilasciato, ma l’ordine era perentorio, avrebbe dovuto lasciare immediatamente il paese.
Ho sprecato cinque mesi della mia vita in questa guerra “ confidò London al suo amico Bob Dunn, ma in fondo non era vero perché dopo quell’esperienza scrisse una parte de “Il vagabondo delle stelle” e la storia del suo viaggio sulla giunca nel Mar Giallo non sembra un resoconto di guerra, ma un brano tratto da uno dei suoi romanzi.
“Avevamo attraversato lo stretto del Giappone e stavamo entrando nel Mar Giallo in rotta verso la Cina. Scivolavamo verso terra nella luce fredda di un mattino di tempesta, su un mare crudele che ci prendeva di fianco e le cui onde erano alte come montagne. Eravamo nel cuore dell’inverno. In mezzo ai vapori lasciati dalle tormente di neve potevamo di tanto in tanto scorgere la costa…” (Jack London, “Il vagabondo delle stelle”).

Ci sono tante cose che si possono vedere e scoprire in un viaggio, ma ce ne sono molte altre che dovremmo imparare a sentire. Bisogna seguire un tramite, una pista, e noi abbiamo seguito la storia di Pratt e i suoi personaggi che forse ci hanno guidati anche in qualche altro luogo o dimensione inaspettata, in questo sta una delle tante magie che si nascondono nelle sue storie.
Non saremo mai i vagoni di un treno, ma barche che viaggiano verso lo stesso porto, su acque diverse, con rotte diverse, con vele e andature diverse.
Sui Monti Changbai Shan (La Montagna sempre bianca) che separano la Cina dalla Corea c’è un piccolo lago vulcanico. Una pozza blu in mezzo a montagne marroni rigate dal bianco delle betulle. Si chiama Lago del Piccolo Cielo, ha una circonferenza di poche centinaia di metri, regolare, tondeggiante, bastano pochi minuti per girarlo, ma bisogna fare con calma. Guardarsi intorno.
La corteccia delle betulle si sfalda in sottili fogli che sembrano delicate pergamene.
I rami s’intrecciano come mani in una preghiera disperata.
Un gruppo di corvi si alza pigramente lanciando il loro richiamo.
C’è una statua di bronzo fra le rocce. Un vecchio saggio dalla barba appuntita, è intento a preparare del cibo, una pozione, forse un rimedio. Davanti a lui c’è un libro aperto, fittamente vergato di segni e una ciotola che contiene nodose corna di cervo.
Anche le cortecce di betulla sono vergate come pergamene.
Come le scritte sul libro del saggio.
Linee sottili.
Viene voglia di scrivere.
Viene voglia di leggere.
Viene voglia d’imparare a sentire.
La statua é quella di Yao Wang, il Re della Medicina, pregare per lui porta salute.
Non so se ho pregato Yao Wang, ma ho scritto il mio ricordo e ho sentito la bellezza semplice di quel luogo.

Dopo quel viaggio io e Marco D’Anna abbiamo usato un modo speciale per chiamarci, per scriverci. Io sono diventato Jack e lui London.
Insieme proviamo a seguire quella stella.
Il bello è che lo facciamo come due vagabondi.

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