La fonda. Prima del passaggio

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La fonda. Prima del passaggio

Venerdì 15 novembre 2013. Mediterraneo Orientale. 50 miglia da Port Said.
Ore 12:30. Temperatura 26°.

Si comincia a sentire un profumo diverso, l’Africa non è lontana.
Cielo limpido. Mare calmissimo. 

1okUn volatile si è posato sulla nave, non so di che uccello si tratti, è piccolo, si vede che è stanco, si lascia avvicinare senza la forza di scappare. Anche lui sta facendo un lungo viaggio verso Sud.
Mi piacerebbe fosse un Falco Grillaio perché a Matera ho visto le casette che hanno costruito apposta per farli nidificare e ce ne sono molti anche nelle Murge, a Gravina di Puglia, ad Altamura. Questi piccoli falchi si mangiano gli insetti che danno tanto fastidio agli uomini, emettono un richiamo caratteristico, un Krii ripetitivo che sembra quello di un grillo, per questo gli hanno dato quel nome. Da quelle zone, come da tutta la Puglia vengono molti marinai di Nave Etna, forse anche a loro fa piacere dargli un passaggio verso l’Africa.
 

Quando Hugo Pratt arrivò a Port Said nel 1937 si fermò per due settimane, suo padre gli comprò un bel caschetto coloniale e una mazza d’ebano “per picchiare in testa i neri che si piazzano nel bel mezzo della strada” gli disse proprio così, a un ragazzino di dieci anni. Tempi diversi.
Poi però lo portò in giro a trovare i parenti, a conoscere i luoghi, andarono a Gaza, e poi a Gerusalemme, si spinsero fino a Petra, in Giordania. Il ragazzino guardava il deserto, quelle incredibili città di pietra ricamate dal tempo.
Il padre di Hugo Pratt era una camicia nera, ma suo cugino era inglese, lavorava nella Trans-Jordan Frontier-Force che aveva fra le sue fila soldati ebrei e arabi.
Un bel misto di popoli, di teste e culture. Una zona di grandi passaggi e di rivalità molto antiche.
Hugo Pratt non aveva una macchina fotografica allora, i suoi ricordi li disegnava. Una visione particolarmente vivida fu quella di un accampamento militare britannico, le tende perfettamente allineate, una bandiera che sventolava orgogliosa sopra un castello di bidoni di benzina. Il soldato di guardia era uno scozzese. Il ragazzino Pratt rimase attratto dalla sua aria marziale, dal modo in cui maneggiava le armi, dal suo strano abbigliamento. Aveva una camicia blu, il kilt e un grembiule kaki, le ghette bianche, i calzettoni con i fiocchi rossi e un caschetto coloniale decorato con una penna.
A dieci anni disegnavo l’Africa di Lawrence senza rendermi conto che più tardi avrei imparato a decodificare l’immagine e la parola per poi riuscire meglio a inserirli nelle strisce a fumetti
Quando Pratt parla di Port Said ricorda le mosche e quello scacciamosche comprato da suo padre fatto di peli di scimmia. 

Nave Etna non si fermerà a Port Said, sarà solo un luogo di attesa prima dell’autorizzazione ad attraversare il Canale di Suez, lo faremo di notte, e durerà circa 15 ore per i 161 chilometri di lunghezza.
Mi guarderò Lawrence d’Arabia questa notte e forse ascolterò un brano de l’Aida, commissionata a Giuseppe Verdi da Ismail Pascià per celebrare l’apertura del Canale nel 1869, ma Verdi rifiutò quel compenso, la compose, invece, per l’inaugurazione del nuovo teatro del Cairo.
Non vedrò le divise dei soldati scozzesi, ho visto passare soltanto un cargo russo, ma in questi giorni ho conosciuto persone che mi hanno fatto sentire parte di una grande famiglia, quella dei marinai veri.
Il Nostromo di Nave Etna è il Primo Maresciallo Giuseppe, è di Leporano Marina, a pochi chilometri da Taranto, è nato sul mare, lo chiamano il Mel Gibson delle prore, oggi ci ha spiegato cosa fare in caso di Abbandono Nave, quale sarebbe la prima cosa da fare, qual è la nostra scialuppa di salvataggio, la N°16, qual è il posto esatto a bordo. Qui si prevedono le cose, in modo da sapere in anticipo cosa fare. L’amicizia è una cosa seria, e lo è anche il proprio lavoro, a tutti i livelli.
Poi Giuseppe il Nostromo mi ha fatto vedere la campana e mi ha raccontato anche il significato dell’unica “corda” che c’è su una nave, proprio quella attaccata alla campana, abbiamo riso e tutti i marinai capiranno il perché, poi però mi ha portato in un suo magazzino, quasi, un rifugio personale, c’era un gong lì dentro, ed è uscita fuori anche un’altra storia: la campana deve suonare a prua, il gong a poppa, così come vuole la tradizione della Marina.
All’epoca in cui non c’erano i radar, quando si entrava in un banco di nebbia si doveva sentire la presenza delle altre navi e si poteva capire il loro movimento da quei suoni, il tocco più leggero della campana o quello più lungo e sonoro del gong. Oltre a questo c’era solo il vento e il fruscìo delle vele.
Già mi vedevo brigantini avvolti dalla nebbie orientarsi o sfuggire proprio grazie a quei suoni, già mi rivedevo Mel Gibson negli “Ammutinati del Bounty”, ma il Nostromo dell’Etna assomiglia a Mel Gibson, ma non a Fletcher Christian il capo degli ammutinati, lui è sempre stato fedele alla Marina e al suo mare, salutandoci mi ha detto questo:

“ Quando muoio, mi dovete solo buttare nel mare…”

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 Testi di Marco Steiner © – Fotografie di Marco D’Anna ©

5 Comments


  • Infatti, prima di leggere ho pensato che fosse Mel Gibson, lol…
    Buona avventura e in bocca al lupo!

    Rispondi

  • Grazie, i tuoi racconti mi/ci deliziano e fanno sognare!!!

    Rispondi

    • che commento migliore può desiderare chi scrive?
      grazie


  • L’uccello potrebbe essere un tordo, sassello o siberiano, non sono certo ma sicuramente non un falco grillaio !! Ciao .. buon viaggio !

    Rispondi

    • Grazie Federico Fabio, ho parlato del Falco Grillaio solo per fare un omaggio a Matera e alle Murge che mi hanno accolto con le loro meraviglie di luoghi e sapori prima del Viaggio. Ti ringrazio dell’informazione…mi piacerebbe davvero che fosse stato un sassello o siberiano, in un viaggio “alla Corto” un uccello che viene dalle terre di Rasputin ci sta veramente bene…
      Marco Steiner

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