Lo strappo

You think it's good?

Piove oggi a New York.
Ho camminato a lungo, con la musica nelle orecchie. Poi è arrivato questo brano “Cedars of Lebanon”.

Anch’io non ho dormito molto questa notte, ho scritto, pensato, riguardato tanti sogni, tante pagine strappate, le ferite, le gioie, il vento che comunque ha portato via tante nuvole.

Due giorni fa ho incontrato un amico, lui è arrivato dal Libano. Aveva un ristorante laggiù, ma la guerra era molto vicina. Noi la vediamo ogni tanto in televisione, lui la sentiva mentre preparava le fettuccine. Poi un giorno, nel suo quartiere c’è stato un attentato. Uno di quelli fatti per bene, per ammazzare qualcuno d’importante. Quello che succede intorno li chiamano effetti collaterali. Un gran bel botto, non serve che dica quanta gente è morta e quanto sangue è schizzato in giro insieme ai due palazzi che sono venuti giù come castelli di carte.

In mezzo a tutto quel casino c’era anche il suo ristorante. Il suo lavoro, il suo sogno.

Adesso lui è qui e ci riprova a New York, “if you can do it here you can do it anywhere”. Perché i sogni non si distruggono nemmeno con le bombe. però fa male continuare a ricominciare, a volte è duro. Ma la vita di oggi è dura, “Non è un paese per vecchi” dice Cormac McCarthy, in fondo tutto il mondo è così, duro.

Non è un periodo di favole, ma di sogni da realizzare, sempre. Sognare e incazzarsi per realizzare quei sogni, questo dovrebbe essere il motto.

Questa pioggia mi fa venire questi pensieri, questa musica li espande e li fa vagare anche più indietro.

Tanto tempo fa, forse alle medie, avevo un professore di musica, non ricordo più come si chiamasse, ricordo solo che era un vero fico. Arrivava in classe con un giradischi, salutava, faceva l’appello e poi, nell’assoluto silenzio metteva un disco sul piatto.

– Scrivete quello che vedete. – diceva. Nient’altro. nemmeno il titolo del brano, naturalmente, quello lo diceva alla fine. Intento lui leggeva.

Noi ci guardavamo in faccia un po’ persi, poi provavamo a buttare giù qualche riga.

Mi ricordo come fosse oggi un brano che mi colpì molto, all’inizio era un tema che girava come una giostra che parte lenta e poi va sempre più veloce, ruotava, volava, scorreva e arrivava chissà come in un mare, ci sentivo un mondo fantastico e liquido, un viaggio magico. I miei compagni scrivevano qualche parola e provavano a raccontare qualche cazzata come fanno tutti i ragazzini a cui non viene in mente proprio niente. Io non ero meglio di loro, anch’io chissà quante cazzate avrò scritto in quel tema, ma mi ricordo ancora che descrissi qualcosa che aveva a che fare con quel mondo liquido che mi faceva sognare. Non era quello che scrivevo, era quello che sentivo e vedevo che mi piaceva.

Alla fine il professore ci disse che il brano era “La Moldava” di Smetana.

Ancora ringrazio quel professore perché le sue lezioni erano un meraviglioso silenzio di parole e un’ora di pura e libera immaginazione.

Quanti sogni ho fatto da allora, tantissimi. Quanti sogni mi hanno strappato, tantissimi.

Sono cambiato, perché bisogna cambiare e andare avanti.

Ho appena letto una frase, qualcuno l’ha scritta su Facebook (una perdita di tempo? non sempre):

“non può esistere alcunché di unico o d’intero che non sia stato strappato” (W.B. Yeats)

oggi mi sento molto strappato,

oggi mi sento molto intero,

spero sia lo stesso per il mio amico che é venuto via dal Libano

 

marcosteiner

3 Comments


  • Uno dei tuoi brani più belli…

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    • grazie Morrigan…


  • …super

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