L’ultima pista (Un racconto a puntate) 5

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L’ultima pista (Un racconto a puntate) 5

cinque

Albert Londres era partito da Le Havre il 3 settembre del 1927 a bordo della nave “El Malta”, un vapore francese di quindicimila tonnellate appartenente alla flotta delle Chargeurs Reunis. Destinazione: Buenos Aires. Durata prevista del viaggio: ventiquattro giorni.

Oltre che giornalista, Londres era anche un agente del Deuxieme Bureau della Sureté Générale. Il suo compito era preciso, indagare sulla prostituzione che dilagava in Argentina per conto dell’ambasciata francese e, in seconda battuta, della Lega delle Nazioni.

Da quell’inchiesta nacque un libro di vigorosa denuncia, Le chemin de Buenos Aires, edito da Albin Michel nel 1927. Nel suo rapporto Londres descriveva nei dettagli quanto era venuto a sapere del commercio del sesso nel quale erano coinvolti insospettabili figure politiche, diplomatiche, del mondo della finanza e dell’aristocrazia argentina negli anni Venti e Trenta.

Londres aveva messo le basi della sua ricerca a Parigi. Era entrato in contatto col mondo della prostituzione locale e si era fatto un’idea sufficientemente precisa di dove avrebbe dovuto cercare e chi avrebbe dovuto contattare a Buenos Aires. Un giorno al Bar Ideal aveva conosciuto un certo Victor, detto El Victorioso.

A 37 anni, di cui cinque passati in prigione, Victor possedeva due milioni di franchi, una gigantesca Packard color avorio, un appartamento a Londra in Old Koston Street e uno nella zona di Charcas; aveva una donna a Buenos Aires, una nella provincia argentina, una alla Boca e una a Londra. E faceva il magnaccia.

Un giorno gli era stata richiesta una delle sue ragazze più belle, Opal, una bionda che a vent’anni aveva un corredo di curve rivestite da una pelle di velluto in grado di far impazzire qualsiasi uomo.

Victor aveva dovuto accompagnarla personalmente verso sud, fino in Patagonia, a Comodoro Rivadavia, su richiesta di uno dei suoi clienti abituali, un americano dalla stazza ciclopica, un texano ricco sfondato con lo Stetson bianco perennemente calcato in testa.

L’americano si faceva chiamare Chuck ed era un alto dirigente della Standard Oil. Chuck doveva chiudere una partita importante e voleva far conoscere la bionda Opal a un generale della Direcciòn Nacional de los Yacimentos Petroliferos Fiscales, la società governativa che controllava i due terzi del petrolio pompato in Patagonia. Il restante terzo era in mano alle compagnie private, fra cui, appunto, la Standard Oil.

Dopo tre giorni in Patagonia, El Victorioso era rientrato a Buenos Aires con oltre 40.000 franchi in tasca, Opal con le righe del frustino da cavallerizzo del generale sui fianchi e sulla schiena. La Standard Oil si era aggiudicata il controllo dei canali di distribuzione interna della benzina e del kerosene, oltre ad alcuni stabilimenti per la raffinazione del petrolio.

A Buenos Aires tutto ciò che era di ferro, dai macchinari alle punte degli elmetti, era tedesco. I treni, i vestiti alla moda e i sandwich con cetriolini e mostarda erano inglesi. Le automobili, le lamette dei rasoi e l’arroganza americane. Gli spazzini, italiani. I camerieri, spagnoli. I lustrascarpe, siriani. Ma le donne, le migliori, erano francesi. Le chiamavano franchutas bonitas.

Per avere una donna polacca ci volevano due pesos, per una franchuta cinque. Una francese giovane dalla pelle di pesca come Opal poteva guadagnare in una settimana circa duemila pesos, ventottomila cinquecento franchi e, a parte qualche incontro più ruvido come quello con il generale della YPF, poteva trascorrere piacevoli serate con la crema dell’imprenditoria, della politica e della finanza argentina.

Salvo qualche rara eccezione, dunque, all’aristocrazia femminile della bellezza toccava l’aristocrazia maschile del denaro e del potere, alle ragazze polacche, invece, era riservata una umiliante, e spesso violenta, tratta delle bianche.

Le ragazze polacche lavoravano nella miseria e per quanto lo facessero nella speranza di una vita migliore, non avevano occasione di uscire da quel degrado. A Buenos Aires non c’era polacco che non tenesse cinque, sei o sette donne. Erano organizzati con assoluto rigore, tutti inseriti all’interno di una scala gerarchica al cui vertice si trovava un capo supremo che emetteva ordini insindacabili.

La Warsavia era stata fondata da un tale Noé Trauman, ebreo polacco anarchico che aveva avuto la geniale pensata di creare una società segreta fra i prosseneti, legalizzandola come fosse una società di mutuo soccorso. Pianificavano operazioni di reclutamento nelle città più povere della Polonia e di altri paesi dell’Europa orientale, dove gli agenti organizzavano fidanzamenti e matrimoni che una volta in Argentina si scoprivano fasulli. Avevano intensi rapporti di collaborazione e amicizia con politici, poliziotti, magistrati e funzionari degli uffici dell’immigrazione. La società ebraica li condannò aspramente espellendoli dalla sinagoga e dalla vita sociale e arrivò a proibire la sepoltura dei prosseneti nel cimitero ebraico, ma Trauman riuscì a neutralizzare quell’umiliazione acquistando una porzione del cimitero israelita di Avellaneda.

La sede centrale della società era a Buenos Aires, in Calle Còrdoba, in un elegante edificio a due piani con giardino, da dove Trauman controllava la prostituzione polacca su scala nazionale. Come in molte imprese, anche la Warsavia aveva una doppia contabilità, quella trasparente delle attività sociali e culturali e quella di cui non rimaneva traccia.

Anche se Trauman e i suoi uomini giunsero a falsificare gli atti di nascita, per aggirare l’ostacolo della proibizione dell’esercizio della prostituzione alle minori di ventidue anni, i loro metodi erano improntati a un’estrema, anche se discutibile, correttezza e parvenza di democrazia. Se la prostituta non intendeva convivere con il suo protettore, poteva farlo, e aveva diritto al cinquanta per cento degli introiti. Questo, in teoria, lasciava alle ragazze la possibilità di ricomprarsi la libertà.

La Warsavia toccò il suo massimo splendore negli anni Venti, a dispetto della comunità ebraica che fece di tutto per stroncare la tratta. Intervenne persino l’ambasciatore polacco, il quale aveva più volte dichiarato che lo stesso nome della società fosse un insulto alla capitale del suo paese.

Il nome venne cambiato e si trasformò in Zwi Migdal. A quel punto Noé Trauman era morto di cancro e la lotta per la successione vide prevalere un ebreo di Odessa, Simon Rubinstein, che provocò ben presto la prima scissione all’interno dell’organizzazione.

Lo zar della prostituzione riunì romeni e russi in una nuova società, l’Askenazum, e trasformò l’organizzazione in un’internazionale della prostituzione.

Ma ormai i tempi erano cambiati. Furono il commissario Julio Alsogaray e il giudice Rodriguez Campo a mettere fine alla tratta delle bianche, nel 1931, quattro anni dopo lo sbarco di Albert Londres a Buenos Aires, ma parecchi operatori del settore se n’erano già andati e molti capitali avevano cambiato banche e nazionalità.

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