Quattordici
Sulla strada verso Bariloche, prima di attraversare il ponte sul fiume Limay, c’è una costruzione bassa e bianca con il tetto verde. Oggi è un ristorante storico, un paraje historico, come dicono qui, si chiama El Boliche Viejo, ma un tempo era un importante emporio e apparteneva a Jarred August Jones, un texano trasferito in Argentina. Una sua discendente vive ancora lì e possiede la terra, oltre al ristorante. È la tipica vecchia parrilla argentina, si cucina la carne sulla grande griglia e in sottofondo si sente il tango. Alle pareti ci sono vecchie foto, fra cui quella di Butch e compagni.
Sapevo che Butch conosceva il vecchio Jones e che si riforniva in quell’emporio, ma non speravo di trovare qualcuno che me ne avrebbe parlato.
Mario Justiniano Ancalao era il nipote di Rafael Justiniano Ancalao, un vecchio cacique, un capo indigeno che lavorava per el señor Jones.
«Butch Cassidy veniva a rifornirsi qui, comprava le pallottole per le pistole, le finiture per i cavalli, tutto quello che gli occorreva, e poi giocava a poker, lì, dove sei seduto tu.»
Mi guardai intorno e toccai d’istinto quel vecchio tavolo.
«Qualcuno di loro sparò anche in bocca a mio nonno, non so chi, ma la pallottola lo trapassò da una guancia all’altra. Quelli erano fatti così, venivano, si prendevano quello che gli serviva, giocavano, e se c’era qualcuno che faceva troppe domande o che soltanto non gli piaceva, lo lasciavano a terra in pasto ai cani e alle mosche.
«Quando si spostavano da Cholila, si guardavano in giro. Allora da queste parti girava parecchio denaro, perché la gente commerciava ogni genere di mercanzia e le navi che andavano e venivano dall’Inghilterra non passavano lontano da qui. Non c’erano banche e la gente teneva mucchi di soldi e oro. Perciò a quei tre non serviva assaltare le banche o i treni, dovevano solo sapere dov’era il malloppo e il gioco era fatto. Come il colpo a Tecka. Non ne parla nessuno, ma era un sacco di soldi, quello che serviva prima di cambiare aria.»
Mario parlava con calma.
«Qui non toccarono mai niente, avevano rispetto per el señor Jones e anche per i Newbery, e quelle famiglie se ne fregavano di quanto avevano fatto o se continuavano a farlo. A loro in fondo piaceva che in giro ci fosse un po’ di timore per i gringos, tutti pensavano a lavorare sodo e non si mettevano in testa strane idee. E chi si azzardava a dire qualcosa di troppo si beccava una pallottola in bocca. Non credo che quelli siano morti qui, ragazzo, erano troppo bene organizzati, non ci avrebbero messo molto ad andarsene in Cile o a prendere una barca che li avrebbe portati in Inghilterra o a casa loro. La sparatoria di Rio Pico, non ci credo. Quelle due tombe, non ci credo. Ma andava bene così, per tutti. Era finita per Butch in Argentina, finita e sotterrata, adelante, si cambia la commedia, ma il finale è sempre lo stesso. Vattene in giro, guarda tu stesso, e vedrai se non è come dico.»
Il giorno dopo tornai a Cholila. Arrivai all’albergo sul lago Futalaufquen e nel salone trovai Jorge che giocava a biliardo con gli amici.
«Com’è andata la caccia?»
«Benissimo, ho scovato un sacco di tracce.»
«Non hai sparato a niente, giusto?»
«No, ma porto con me diversi trofei.»
«Ci credo, ragazzo. A te rimarrà qualcosa per sempre, noi invece i nostri trofei ce li siamo mangiati. E adesso vieni a giocare.»
Mentre raccoglievo la stecca che Jorge mi stava porgendo e mi avvicinavo al tavolo, guardai gli altri giocatori e pensai alle parole di Gilberto Vendramin. «Non far mai giocare l’avversario, stringilo sempre fra la mattonella e il pallino, inchiodalo fra i birilli, mettilo in condizione di ricorrere all’accosto e, se è un piccoletto, fagli usare sempre lo steccone. Se è un marcantonio, tienilo a colla. Considera sempre dove stai giocando, non tutti i biliardi sono uguali. Tocca il tappeto verde prima d’iniziare una partita, concentrati, facci scorrere sopra la mano e ascolta quello che ti dice. Sui biliardi nuovi la palla fila come un treno, non c’è modo di rallentarla, se c’è umidità, la palla s’impantana nella stoffa. Prima d’iniziare controlla come rotolano le stecche e che rumore fanno le bilie. Ricordati tutto quello che ti ho detto, ragiona e metticela tutta. Forse riuscirai a fare qualche bel punto.»
Ce la misi tutta.
La mattina successiva tornai alla capanna di Butch Cassidy e vagai nei dintorni.
Niente più magia.
Le catapecchie sfondate, i cespugli ingialliti, il fiume che scorreva rimbalzando inutilmente fra i sassi.
Tutto era sbiadito, privo di contorni, senza luce.
Il passato se n’era andato senza lasciare tracce, come quei tre.
Neppure il cavallo baio c’era più.
Tirava un vento freddo e teso. Fastidioso.
Ripresi la jeep e proseguii lungo un viottolo laterale. Trovai un cartello che indicava Casa Galesa.
Era un edificio massiccio e squadrato circondato da una palizzata di pioppi dalle foglie verdi e rossastre; a terra un tappeto di foglie gialle.
Salii i gradini e aprii una porta a vetri. Vidi sei o sette tavolini apparecchiati, dentro nessuno. Sembrava una sala da tè.
Provai a chiamare ma non ottenni nessuna risposta.
Entrai in un salotto più piccolo.
«C’è nessuno?»
Ripetei la stessa domanda diverse volte, in spagnolo e in inglese. Niente.
Sui tavolini c’erano dei foglietti che pubblicizzavano il locale, La Casa Galesa o La Casa de pietra, e riportavano la ricetta del suo dolce tipico, la Tarta Negra Galesa, o Taisen Ddu, in gallese, una specie di bomba a base di farina, uova, latte, burro, zucchero, noci, uvetta, cannella, zenzero, noce moscata e altri ingredienti che non riuscivo a decifrare.
Continuai ad addentrarmi.
Arrivai in cucina e vidi un vecchio. Se ne stava seduto a testa bassa e si guardava le mani. Le guardava e le sfregava lentamente.
«Buongiorno.»
Ero di fronte a lui. A meno che non fosse sordo, doveva sentirmi per forza.
Il vecchio alzò la testa e sorrise.
Chiesi se potevo avere un tè.
«La mia signora adesso non c’è. Perché non torna nel pomeriggio?»
Quindi riprese l’attività che aveva interrotto per guardarmi.
«È da tanto che la sua famiglia vive qui?»
Voleva essere solo un modo gentile per avviare la conversazione e invece, forse, avevo toccato il tasto giusto.
«Mio nonno arrivò in Argentina insieme a Sir Love Jones Parry, il barone di Madryn. Era il 28 luglio del 1865, erano partiti da Liverpool a bordo del “Mimosa” e sbarcarono nel Golfo Nuevo che più tardi diventò Puerto Madryn in onore del barone. Fondarono la prima città gallese, Rawson.»
Si alzò con una certa agilità e mi mostrò una vecchia foto ingiallita che raffigurava un folto gruppo di persone eleganti e impettite di fronte a un edificio che poteva essere un municipio. Una scritta a penna in un angolo diceva Rawson 1865.
«Mio padre si spostò qui a Cholila nel 1922 e l’anno dopo nacqui io. Questa casa l’ha costruita lui, pietra su pietra, tutto da solo.»
«Ha molti ricordi di suo padre?»
«Veramente no, morì quando avevo due anni e mia madre lo seguì per la tisi dopo altri due.»
«Anch’io sono orfano.»
«Sono cresciuto benissimo con le mie due zie e loro mi raccontavano che mio padre, Dio lo perdoni, quando non costruiva case faceva soltanto due cose: si ubriacava di Old Smuggler e picchiava mia madre.»
«Mi dispiace.»
«Non si dispiaccia, figliolo, è stato meglio per tutti.»
Il vecchio non era per niente rincretinito o sordo come avevo pensato, così cercai di addentrarmi in quella conversazione un po’ dissociata.
«Che cos’è l’Old Smuggler?»
«Il whisky argentino. Non lo conosce? Ne vuole un goccio?»
«Perché no, ma solo per assaggiare, non sono abituato a bere di mattina.»
Prese da un ripiano alle sue spalle una bottiglia dall’etichetta nera e oro e mi riempì fino all’orlo un bicchiere di medie dimensioni. Fece lo stesso per sé.
«È di mattina che bisogna bere, per darsi forza e iniziare di buonumore la giornata. Altro che quella schifezza di tè e torta gallese.» Guardò con disprezzo le tovagliette di pizzo che coprivano i tavolini, poi scosse la testa. «Del resto la vecchia deve pur combinare qualcosa, altrimenti mi starebbe sempre addosso a dirmi quello che devo e non devo fare.»
«Sono venuto a Cholila in cerca di notizie su Butch Cassidy.» Buttai l’amo, curioso di vedere che cosa avrei pescato.
«Per quel che ne so, era benvoluto da queste parti, lo dicevano sempre le zie. Era un galantuomo, educato, divertente e generoso con tutti. Anche il suo amico, Harry Place, era un tipo giusto. La loro donna, invece, faceva parlare di sé, capisci quello che intendo, sai come vanno le cose. Quando una donna vive con due uomini, prima o poi…»
Mi strizzò l’occhio e bevve una sorsata di quel whisky chiaro e duro che attraversava la gola con l’effetto di una raspa.
«Beati loro, ma forse sono le maldicenze di due zitelle invidiose.»
Finì di scolarsi il bicchiere e lo caricò di nuovo. Buttò uno sguardo al mio, ma era ancora pieno a metà.
«Di certo so che c’è un discendente della famiglia Hahn, uno strano individuo che vive con una sorella pazza in una casa anseatica dalle parti del Lago Puelo. Dicono che la sa lunga sulla sparatoria di Rio Pico. Suo nonno Eduardo Hahn pare fosse uno di quelli che avrebbero sotterrato i due bandoleros vicino a casa sua.»
«Una casa anseatica?»
«Sì, una di quelle con il tetto colorato, spiovente e aguzzo, di quelle che si facevano in Germania e in tutte le città del nord, Lubecca o le altre che si affacciano sul Baltico.»
«E come si chiama questo individuo?»
«Vai al Lago Puelo, non ci sono tante case anseatiche da quelle parti, tranquillo che lo trovi. Ma se non ci fosse, lascia perdere, fatti un bel giro sul lago e vattene in Cile a bere una buona bottiglia di vino. Sono tutte storie vecchie, fritte e rifritte nel tempo, e alla fine hanno perso il loro sapore.»
Rimise a posto la bottiglia e lavò con cura i due bicchieri, poi li asciugò e li ripose nell’armadietto da dove provenivano.
La nostra conversazione era terminata.
Sedette sulla sedia dove l’avevo trovato e ricominciò a sfregarsi le mani
Cercai di salutarlo e di ringraziarlo per il whisky e la chiacchierata ma era ripiombato nella sua assenza.
Montaii in macchina e mi resi conto che l’Old Smuggler si faceva sentire, abbassai il finestrino e me ne andai alla volta del Lago Puelo.
Lungo il tragitto il tempo cambiò e adesso splendeva un sole terso. Il vento aveva soffiato rabbioso e aveva spazzato il grigiore delle nuvole.
Quando la vidi ero quasi arrivato al lago.
La visione della casa anseatica degli Hahn era un’istantanea dal paradiso. Intorno alla casa un prato curato, del verde più squillante che avessi mai visto. Intorno al prato, un anello di piccoli fiori di luppolo blu e ancora più oltre una fila regolare di alberi di melo. Era stretta e allungata, con balconi carichi di fiori di tutte le tinte. Il tetto azzurro e spiovente, interrotto da sbalzi, finestrelle e minuscole torrette.
Rimasi a guardare con il motore acceso e la bocca aperta quella specie di casa delle favole. Pensai che da un momento all’altro potesse uscirne una principessa e invece mi resi conto che un cane lupo continuava a ringhiare da dietro il cancello. Poi la porta si aprì e mi venne incontro un vecchio con due lunghi e curatissimi baffi bianchi girati all’insù.
Vestiva un completo di velluto marrone e calzava stivali di cuoio che conferivano un aspetto marziale alla sua falcata energica.
«Cosa diavolo ha da guardare, giovanotto?» tuonò in uno spagnolo dallo spiccato accento tedesco.
Mi presentai con calma e gli spiegai il motivo del mio viaggio e il mio interesse riguardo al periodo argentino di Butch Cassidy.
Nel frattempo, ora da una finestra ora da un balcone, si affacciava a guardarmi una vecchia con il volto da strega e i lunghi capelli grigi che le scendevano fino ai polpacci.
Mi fissava con uno sguardo stralunato e ostile, mi indicava urlando improperi e poi cambiava finestra. Sembrava un gioco da lunapark.
Il vecchio con i baffi mi fissava sospettoso e continuava a ripetere che lui non sapeva niente di Butch Cassidy e della sua banda.
«C’è una sola cosa che so, giovanotto. Da queste parti si può fare di tutto, anche ammazzare delle persone, vestirle con gli abiti di qualcuno scomparso e poi spargere la voce che è stato ammazzato chi è ormai svanito nel nulla.»
La vecchia continuava a giocare a rimpiattino e io pensai che quel vecchio tedesco impeccabile doveva aver ragione. Butch se n’era andato e qualcuno se ne stava sottoterra al posto suo. La Patagonia era il posto giusto per scomparire, non per morire. Specie per uno come Butch.
«Addio, giovanotto, e glielo dica pure che questa casa non è in vendita, glielo dica, glielo dica.»
Il vecchio mi voltò le spalle e rientrò con la sua falcata dinoccolata. Da dietro un vaso di fiori la vecchia mi fece un gestaccio, scoppiò in una risata stralunata e scomparve.
La casa tornò a essere la visione idilliaca che era stata prima della comparsa di quei due strani folletti.
Mi ritornarono in mente alcuni passaggi che avevo letto nel dossier di Pedro Mangini:
“Ormai sono convinto, signor Londres, che i Newbery, forse a loro insaputa, collaborarono con il señor Habban e gli altri proprietari terrieri per reclutare yankee dalla pistola facile con il compito di controllare che nelle terre del sud tutto procedesse come le ho descritto. I Newbery possiedono vaste estensioni di terra dalle parti del lago Nahuel Huapi.
La loro estancia, di 12.000 acri, si chiamò all’inizio Traful e poi in seguito fu ribattezzata La Primavera. Insieme a loro c’erano un altro latifondista texano, Jarred August Jones, uno dei primi a portare una Ford T in quei paraggi, e il señor Habban.
Era una comunità di lingua inglese, si rifornivano negli stessi empori, parlavano la stessa lingua, mangiavano e bevevano le stesse cose e conducevano lo stesso genere di affari.
I pistoleros non erano alle loro dipendenze dirette, ma se serviva c’erano, senza dover fare troppe domande.
Butch, Ethel e Sundance andarono più volte all’Estancia dei Newbery al Nahuel Huapi, e furono ospiti anche di Jarred August Jones per diverse settimane, ma nessuno denunciò il fatto alla polizia. Perfino l’ex sceriffo texano John Comodoro Perry incontrò Butch a Cholila, e lui sapeva chi fosse quel mandriano che si faceva chiamare Santiago Ryan, ma non gliene importava più di tanto, anzi, anche lui si stabilì a Cholila e diventò un frequentatore della cabaña de los tres. Bevevano tè, ascoltavano musica e se ne andavano in giro insieme a cercare cavalli e a fare spese. Di solito arrivavano fino all’Acienda Leleque, di proprietà della Compañia de Tierras Sud Argentina, un emporio frequentato da tutti i gallesi della zona. I nomi di Santiago Ryan e di Harry Place sono ancora annotati sui registri contabili.
Anche la storia della sparatoria di Rio Pico e della loro morte è tutta una montatura, organizzata, secondo me, dallo sceriffo Perry, dallo sceriffo di Esquel Milton Roberts e dai fratelli tedeschi Hahn.
Dopo il famoso furto alla Compañia Mercantil di Arroyo Pescado e l’uccisione del gerente, l’ingegner Llwyd Ap Iwan, con una Mauser 45 che Butch non aveva mai usato, e il rapimento del giovane Ramos Otero, tutti capirono che quelli non erano i metodi della “famiglia dei 3” e che i colpevoli erano Bob Evans e William Wilson. Alcuni sostenevano che erano solo due nomi fra i tanti che Butch e Sundance avevano adottato, ma chi li conosceva sapeva che non era così. Evans e Wilson erano violenti, brutali, ma anche due coperture perfette per eliminare una volta per tutte Butch e il Kid.
Dopo la sparatoria al Rio Pico, i due corpi furono sotterrati dai fratelli Eduardo e Juan Hahn senza coinvolgere i responsabili dell’agenzia Pinkerton. Anzi, la notizia interessante che sono venuto a sapere è che i fratelli Hahn, dopo pochi mesi, si trasferirono dalla loro casupola di Rio Pico in una bella casa vicino al Lago Puelo. La costruirono come piaceva a loro, in uno stile particolare, un’architettura che ricordava le abitazioni delle loro parti in Germania. La tirarono su in un posto incantevole e senza badare a spese”.
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