due
Era una cassetta di ferro verde dall’aspetto solido, con una strana chiave di sicurezza e il manico cromato. Me l’aveva data nonno Marcus prima di partire.
«Vado via per un po’, non so per quanto, ma adesso che la nonna Valery non c’è più, potrai startene finalmente da solo. Ti farà bene.»
Mi aveva consegnato la cassetta e una busta. Era una limpida giornata di maggio del 1995, una di quelle giornate che ti fanno venir voglia di partire.
Io sarei rimasto. Lui se ne sarebbe andato per sempre.
«Nella busta ci sono duemila dollari, ti basteranno per qualche tempo, ma è ora che ti trovi un lavoro e una strada.»
Era entrata in casa l’attrice. «Marcus, è tardi, dai andiamo, c’è traffico sulla strada per l’aeroporto, non possiamo… Oh, scusate.»
«Aspettami fuori, Cindy. Arrivo.»
Lui rigido e imbarazzato. Lei sinuosa e ammiccante.
«Nella cassetta c’è una parte del passato della tua famiglia. Era di tuo nonno Seamus e di sua moglie Mania Brookszowyc, i genitori di quel matto di tuo padre. Gente strana, ma con le palle, niente da dire. Tua nonna Valery l’ha sempre tenuta nascosta, diceva che potevano venirti idee strane. Ma prima di morire mi ha detto dov’era e mi ha autorizzato a dartela.»
Aveva infilato una piccola chiave e fatto scattare la serratura. Clic.
«Eccotela. Non ho mai guardato cosa c’è dentro. È roba tua. Posso solo dirti che tuo nonno Seamus la trattava come una reliquia e che prima di morire l’ha affidata tutto solenne a tuo padre. Un giorno che aveva bevuto parecchio, uno dei tanti, Liam mi disse: “Mia nonna Louise con le parole è stata capace di rivoltare l’Argentina più di quanto abbiamo fatto in Irlanda mio padre, io e quella manica di idealisti ubriaconi con le bombe”.»
Ero rimasto in silenzio a fissare la cassetta di ferro e il volto rugoso di mio nonno che partiva.
«Non ho capito bene quello che voleva dire tuo padre, cazzate ne sparava tante, ma forse vale la pena che tu dia un’occhiata qui dentro, non si sa mai.»
Fuori, il clacson aveva iniziato a suonare insistente. Nonno Marcus si era avviato.
«Adesso vado, Bob, scusami se non sono riuscito a darti abbastanza, ma vedi come sono fatto.»
Aveva indicato la porta e sorriso.
Mi aveva abbracciato forte. Era la prima volta.
«Forse ho ancora voglia di dimostrare a me stesso di essere vivo. E forse sono ridicolo. Ma sono fatto così e non posso più cambiare. Tu no. Tu cerca di essere diverso, tu sei un Collins.»
Aveva due occhi azzurri profondi e velati di tristezza.
«Non riesco neppure a immaginare cosa possa aver fatto Louise di tanto importante, ma un giorno me lo racconterai.»
Se n’era andato così.
È incredibile come certe persone, con una frase, un gesto, possano trasformare il ricordo di sé che si lasciano dietro.
Quando la porta si chiuse mi ero sentito più solo che mai. Quella casa non era mia, quel posto non era mio, e l’idea che in quella cassetta potessi trovare qualcosa di importante per la mia vita rendeva ancora più acuto il senso di abbandono che provavo.
Mio padre sapeva rinunciare alle cose materiali, era sempre stato pronto a spostarsi, a fuggire, e si portava dietro solo oggetti indispensabili.
La cassetta conteneva un dossier voluminoso composto di centinaia di fogli ingialliti, attraversati dalle righe regolari di una scrittura ordinata e sottile. Oltre ai fogli c’erano foto, alcune lettere, ricevute di pagamenti e diversi biglietti da visita.
Il primo foglio del dossier portava la firma di Louise Brookszowyc, la mia bisnonna, e di un certo Pedro Mangini, giornalista argentino.
Era datato 1923.
Mania lo aveva conservato e dopo di lei era toccato al vecchio Seamus prendersene cura fino all’ultimo giorno di vita. Nella cassetta aveva lasciato anche qualcosa di indubitabilmente suo: una Webley RIC. Era la pistola in dotazione ai Royal Irish Constabulary, le forze di polizia irlandesi filo-inglesi incaricate di tenere a bada i ribelli dell’Irish Republican Army che non avevano mai accettato il trattato di pace del 1921. Mio nonno era stato uno di quegli irriducibili e la pistola era il ricordo di un nemico ucciso.
Oltre alla Webley, di Seamus c’era anche un foglio di carta rigato dai segni di numerose pieghe. Conteneva una poesia, scritta da lui.
A colpirmi furono la dedica e la data:
Al nipote che non conoscerò mai.
Nonno Seamus
16 maggio 1941
Era la data di nascita di mio padre. Ventinove anni esatti prima della mia. A volte il destino organizza le cose davvero per bene.
Nel giorno in cui nasceva suo figlio, invece di andare a ubriacarsi con gli amici, mio nonno aveva pensato al figlio di suo figlio. Aveva pensato a me che non c’ero ancora.
Ce n’era abbastanza per incuriosirsi.
Partii dalla poesia che nonno Seamus mi aveva dedicato.
Farfalle rosse e splendidi sorrisi
Non ho timore dei colpi che esplodono nel vento.
Ali vibranti,
sciami pulsanti
farfalle impazzite,
si poseran rosse
su candide camicie.
Svaniran sogni insieme coi respiri,
ma la paura, il terror mio
sarà il candor lordo di sangue, terra e oblio.
Non ho timore di porte sbarrate.
Né del rumore di ferri e catene.
Non ci son sbarre per sogni e passioni.
Segui il Sinn Fein, figlio, se vorrai,
ma cerca la pace per un domani
che forse tu non vivrai.
Odio e violenza, cibo per padri
Ché di vendetta voi ancor ne fremete,
ma per i figli,
i figli dei figli,
il grido è uno solo:
vi prego smettete!
Rosse farfalle seguono il vento
e posan le ali su giovani visi,
ma saran calmi
quei giorni dorati,
e quelle ali
saran soltanto
niente e nient’altro che
splendidi sorrisi.
Seamus Collins, 16 maggio 1941
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