L’ultima pista (Un romanzo a puntate) 6/7

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L’ultima pista (Un romanzo a puntate) 6/7

sei

Patrick O’Maley era il responsabile degli archivi criminali alla centrale di polizia di Buenos Aires. Era argentino ma come lasciava chiaramente intendere il suo nome era di origini irlandesi. O’Maley non era il tipico topo d’archivio, aveva l’istinto del detective, si documentava, leggeva con attenzione i dossier, li confrontava e faceva ricerche personali.

«O’Maley, sono l’ispettore Estevez. Mi faccia pervenire l’incartamento relativo alle attività criminali del bandolerismo yankee in Patagonia, dal 1902 al 1910.»

Silenzio.

«Lo voglio sul mio tavolo immediatamente, capito?»

«Solo il tempo di trovarlo, capo.»

Estevez era alto e corpulento, mandibola prominente, denti scuri macchiati di nicotina.

«Bandolerismo yankee in Patagonia?» domandò Escudero, il poliziotto incaricato di perfezionare i lavori sporchi di Estevez.

Sedeva di fronte al superiore, le gambe allungate e incrociate, si controllava i mocassini, lucidissimi.

«Sì, una vecchia storia.» Estevez era sprofondato nella sua logora poltrona di cuoio. Si accese con calma un sigaro.

«Nel 1902 parecchi fuorilegge americani vennero a rifugiarsi da noi, sfuggendo alla cattura negli Stati Uniti. Tra gli altri LeRoy Parker, che poi sarebbe quel bastardo di Butch Cassidy, Harry Longabaugh, detto Sundance Kid, ed Etta Place, la loro femmina. Si unirono a ladri di bestiame cileni, anarchici italiani e rapinatori gallesi, e poi furono uccisi da qualche parte in Bolivia o forse in Cile.»

Estevez espirò una lenta boccata di fumo puzzolente e allargò la bocca di denti grigi in una specie di sorriso.

«Ero giovane, allora, non avevo neppure vent’anni e facevo parte della gendarmeria a cavallo di frontiera. Fu in quel periodo che sentii fare il nome di un certo Corto Maltese per la prima volta. Doveva essere giovane anche lui. Quei banditi assaltarono diverse banche a Mercedes, a Rio Gallego, ma la refurtiva non venne mai recuperata.»

«Ecco il dossier che mi ha chiesto, ispettore.»

Con un gesto che doveva essere abituale, O’Maley entrando si buttò all’indietro la lunga frangia di capelli lisci e sottili.

«Bene, molto bene. Grazie, O’Maley» disse l’ispettore sbattendo il voluminoso dossier sulla scrivania. Le penne rotolarono a destra e sinistra e lui le riordinò meticolosamente in una fila perfetta accanto alla pila di fogli.

«Adesso lasciatemi solo.»

Escudero aprì la porta e fece cenno a O’Maley di precederlo. Sarà stata deformazione professionale, ma non amava avere dietro di sé qualcuno con una pistola, chiunque fosse, anche un collega.

«Che cercherà mai in quegli incartamenti?» domandò l’irlandese.

«Vuole vedere se trova notizie su un certo Corto Maltese, frequentava una banda di fuorilegge americani e sembra che adesso sia rientrato in Argentina.»

Uscendo, Escudero si aggiustò il nodo della cravatta.

«Corto Maltese? Sì, è citato anche lui nel dossier. E perché dovrebbe essere ritornato? Non sarà che tutte quelle rapine hanno fruttato qualcosa di più che valuta ormai fuori corso?»

O’Maley camminava davanti a Escudero, ma era come se lo fissasse e controllasse le sue reazioni. «Forse la refurtiva non è mai uscita dal paese.» Pausa. «Forse quei rapinatori e ladri di bestiame sono morti troppo presto e non sono riusciti ad andarsene con i soldi. Forse li hanno nascosti da qualche parte a sud.» Altra pausa. «Forse Corto Maltese è tornato per questo.» Un colpo alla frangia e uno alla cravatta. «Però io non ci credo, dicono che sia tornato per una donna ebrea, una certa Louise Brookszowyc, una che ha creato un sacco di problemi alla Warsavia.»

Escudero si passò la punta della scarpa destra dietro al pantalone sinistro. Ecco, adesso era perfettamente lucida.

«Forse può essere tornato per entrambe le cose», concluse l’irlandese.

Patrick O’Maley conosceva bene gli archivi, e quindi conosceva bene molte vecchie storie. Trovava documenti per ogni cosa ma, soprattutto, era in grado di immaginare quello che non veniva trascritto.

Quando si rese conto di avere tra le mani materiale importante, Patrick scrisse tutto quello che era venuto a sapere in un dettagliato rapporto a Laurentino C. Mejias.

Mejias aveva sempre cercato di ostacolare la corruzione all’interno della polizia. Sapeva bene che senza i conniventi a beccarsi il pizzo e chiudere un occhio se non due, i signori della Warsavia e gli elegantoni francesi non avrebbero avuto vita facile. Laurentino conosceva altrettanto bene i metodi e i codici dei suoi vecchi colleghi e aveva capito che, in fondo, quando l’avevano mandato in pensione, era stato per proteggerlo. Ma sapeva anche che era stata l’ultima gentilezza che avrebbe ricevuto.

Le informazioni di Patrick O’Maley erano di prima qualità. Non si documentavano soltanto gli interessi economici legati alla prostituzione, ma si chiariva come la torta da spartire fosse più grande e si chiamasse Patagonia.

Louise e Pedro c’erano arrivati un po’ per caso e un po’ per intuito.

Li avevano accompagnati fuori dalla stazione di polizia, ed erano partiti in macchina con Estevez ed Escudero in modo da poter parlare in tutta tranquillità, gli avevano detto.

Dopo un lungo giro, la macchina si era fermata davanti a un palazzo in restauro completamente rivestito da un’impalcatura. Li portarono in un appartamento semivuoto all’ultimo piano.

Louise e Pedro si erano seduti di fronte a Estevez.

Pedro incominciò a raccontare quello che avevano scoperto nel corso della loro indagine, evitando di accennare all’esistenza del dossier. Louise capì che Pedro voleva tenerselo come carta di riserva, da tirare fuori in un secondo tempo, magari di fronte a qualche personaggio più importante di quell’ispettore.

Il giornalista aveva parlato a lungo ed Estevez lo aveva ascoltato annuendo in silenzio. Alla fine il poliziotto aveva sorriso e gli aveva dato una pacca amichevole sulla spalla, poi aveva stretto la mano a Louise.

«Bueno.» Soltanto questo. Quindi si era scusato con loro dicendo che doveva fare una telefonata e che sarebbe ritornato entro pochi minuti. Si era chiuso la porta alle spalle.

Louise e Pedro si erano guardati soddisfatti. Avevano anche tirato un sospiro di sollievo.

« Com’è andata, Pedro? »

«Non lo so, ma ormai è fatta…»

Erano seduti uno accanto all’altra.

Louise, le mani appoggiate sulle ginocchia, un vestitino azzurro.

La paura, le guance arrossate, i capelli stirati all’indietro.

Era bella, semplice, pulita.

Pedro le appoggia una mano sulla mano, sente le dita, la stoffa del vestito, la morbida pelle della gamba.

Louise ritrae la mano.

«Abbiamo fatto qualcosa di molto importante Louise…»

«Ti ringrazio, Pedro, perché anche se dovessi morire domani, saprei che la mia stupida vita è servita a qualcosa…»

«…Io però vorrei dirti…»

«No, Pedro, il nostro libro ormai è chiuso, abbiamo già scritto il finale.»

La portà si aprì. Era Escudero.

Li trovò uno spazzino italiano, il giorno dopo.

I loro corpi erano sul marciapiede, in un lago di sangue.

Escudero testimoniò che i due – la puttana e il suo protettore, che come copertura fingeva di fare il giornalista – erano riusciti a eludere la sua sorveglianza dopo l’interrogatorio cui l’ispettore Estevez li aveva sottoposti. Dovevano essere fuggiti allontanandosi dell’impalcatura intorno al palazzo. Evidentemente nel tentativo di fuga avevano perso l’equilibrio ed erano precipitati nel vuoto. Lui li aveva cercati invano ed era rientrato subito alla stazione di polizia per denunciarne l’allontanamento, subendo gli aspri rimproveri dell’ispettore Estevez.

Ma torniamo alla torta.

La Patagonia voleva dire molte cose, tuttavia quelle fondamentali erano il petrolio, gli animali e la terra. Tutte insieme, volevano dire un enorme quantità di denaro.

Le vaste estensioni in Patagonia appartenevano a latifondisti americani e britannici, gallesi in particolare, i quali non le avevano acquistate, ma acquisite grazie alla connivenza del governo. Quelle terre appartenevano in realtà al demanio pubblico, e i coloni e i braccianti che vi erano nati, e che da sempre le lavoravano, avrebbero potuto rivendicarle. Sarebbe bastato che qualcuno avesse cominciato a sobillarli, che la notizia delle loro richieste fosse arrivata a Buenos Aires, fino ai politici onesti, a quanti non venivano pagati dai latifondisti.

Gruppi di anarchici italiani tentavano di aiutare i contadini e, se fossero riusciti nel loro intento, il potere economico delle grandi famiglie sarebbe crollato.

Allo stato dei fatti, milioni di ettari di eccellente terreno e abbondanti corsi d’acqua appartenevano alla corona inglese. Diversi uomini politici argentini si trovavano sui libri paga della Cia, numerosi prestanome erano controllati da famiglie d’immigrati gallesi e le banche americane e inglesi avevano trasformato la Patagonia in una specie di colonia britannica.

Da qualche parte negli Stati Uniti un certo avvocato Preston aveva mantenuto una fitta corrispondenza con l’agenzia investigativa Pinkerton, con cui aveva stretto un accordo: Butch Cassidy, Sundance Kid ed Etta Place avrebbero ottenuto una lettera di presentazione per un altro Preston, probabilmente un parente, di certo un dirigente delle grandi estancias in Cile e in Argentina. L’agenzia Pinkerton avrebbe favorito l’espatrio dei tre, e il Preston argentino avrebbe fatto in modo che i tre «indesiderati» trovassero occupazione in quelle terre lontane e sperdute, cessando di far danni negli Stati Uniti.

O’Maley scoprì che i tre banditi non erano arrivati in Argentina solo per sistemarsi come rancheros dalle parti di Cholila. In realtà erano stati incaricati di organizzare le squadre di polizia interne create per proteggere i proprietari terrieri e tenere a bada coloni, peones e braccianti da eventuali sobillatori. I proprietari terrieri non si fidavano dei rancheros locali e preferivano che a parlare la loro lingua fossero mandriani yankee. E se si trattava di ex fuorilegge, tanto meglio, avrebbero saputo come farsi rispettare.

Tutto era andato secondo le previsioni finché ai tre non era tornata la voglia di sgranchirsi le gambe e avevano ricominciato le scorribande alla ricerca di banche da svaligiare.

Non erano quelli i patti.

E così era stata di nuovo data carta bianca all’agenzia Pinkerton e al loro agente in Argentina, Dimaio. Nel 1907 i tre erano dovuti sparire un’altra volta, e questa in maniera definitiva.

Secondo le ricerche di O’Maley, Sundance era stato ucciso nei pressi del lago Puelo, vicino alla frontiera cileno-argentina. Etta dopo essere fuggita in Messico e aver fornito nel 1910 armi al generale Pancho Villa, era tornata negli Stati Uniti dove le sue tracce si erano perse per sempre. Butch Cassidy, invece, era ancora vivo e vegeto e in contatto con uno dei potenti latifondisti americani, un certo Habban, erede di una grande famiglia di allevatori di Chicago.

Corto Maltese era un marinaio, un avventuriero arrivato casualmente in Argentina. Il bastimento che doveva portarlo in Africa, dov’era diretto alla ricerca delle miniere di re Salomone, aveva subito un ammutinamento. Corto era stato abbandonato in una scialuppa insieme al suo compagno d’avventure, un russo di nome Rasputin. I due erano stati poi recuperati da un cargo che li aveva sbarcati a Valparaiso. Da lì erano arrivati nel sud dell’Argentina e nel 1906 dalle parti del lago Nahuel Huapi, nella estancia dei Newbery, dove avevano incontrato Habban e Butch Cassidy.

Corto tornò in Argentina nel 1923, per assolvere il compito affidatogli da Louise.

Quello di cui ancora nessuno era a conoscenza, ad eccezione di O’Maley che faceva parte del gruppo, era il rapporto d’affari privato fra Corto, Butch Cassidy, la colonia irlandese-argentina e quella statunitense.

 

sette

 

La lettura del dossier, delle lettere e di varie schede di Pedro Mangini e di Laurentino Mejias mi aiutarono a comprendere l’estremismo irlandese. Fino a quel momento non ero mai riuscito a capire, né a giustificare, l’odio viscerale di tanti irlandesi per gli inglesi. Non ne coglievo le radici e tanto meno lo scopo. Poi la nebbia cominciò a diradarsi.

Quando nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, uno dei patrioti irlandesi più agguerriti, Sean Russell, spinse l’IRA alla collaborazione con la Germania hitleriana. Parallelamente, in quello stesso anno, il suo gruppo compì una serie di devastanti attentati dinamitardi in territorio inglese senza perseguire obiettivi precisi né particolari strategie, ma solo con l’intento di seminare panico e morte. I pacchi esplosivi furono sistemati ovunque, nelle cassette delle lettere e nelle lavanderie pubbliche. Un pacco-bomba assicurato a una bicicletta abbandonata in una strada affollata di Coventry provocò una carneficina.

Alcuni militanti vennero catturati, altri perirono in azione. A Sean Russell toccò una morte disonorevole (o meritata, a seconda dei punti di vista): morì da traditore a bordo di un sottomarino tedesco, mentre faceva rientro in Irlanda.

Sean Russell era amico di mio nonno Seamus. E mio padre a volte mi parlava di lui.

«Sean era un assassino disperato, solo quello, e non esiste niente di più pericoloso di un assassino disperato. Il disperato non ha nulla da perdere e la sua stessa esistenza a volte è solo un peso. Se i politici provassero a eliminare la disperazione dalla faccia della terra, vivremmo tutti meglio, e anche più a lungo. Ricordatelo, Bob, un disperato in uno dei suoi momenti di esaltazione può combinare qualsiasi cazzata, e in più si porta dietro la iella. Stai alla larga dai disperati, figliolo.»

Quando Sean Russell si fermava in casa loro, a mio padre dicevano che doveva chiudersi in camera sua e non muoversi per nessuna ragione, qualunque cosa fosse successa. Dalla cucina arrivavano le grida di Seamus e Sean e il puzzo delle centinaia di sigarette che fumavano in una notte.

«Non riusciremo a sconfiggerli. Non ci riusciremo mai», gridava Sean, e batteva pugni sul tavolo. «Per questo dobbiamo rovinargli la festa a quei bastardi, rompere il culo alle loro mogli e far saltare in aria i loro figli. E se non basta, dobbiamo scatenargli contro qualcuno più forte e più bastardo di loro. Ricordati una cosa, Seamus, ricordati che di quello che pensano gli altri a me non me ne frega un cazzo di niente, tu sei l’unico che può permettersi di esprimere un giudizio e allora ricordati quello che ti dico: se mi metto con i tedeschi, non è perché sono un traditore. Sono soltanto un vero irlandese, uno che vuole ripulire il suo paese dalla feccia. Nessuna guerra è più importante della guerra contro gli inglesi.»

Per ironia della sorte mio nonno morì a causa di Sean Russell. Dopo averne identificato il cadavere nel sottomarino tedesco affondato, gli inglesi fecero una perquisizione in casa sua e trovarono una foto che Sean aveva lasciato alla moglie. Sul retro era scritto: Se mi succede qualcosa, vai da Seamus Collins. È l’unico bastardo onesto di cui ti possa  fidare. A te ci penserà lui. Fu la condanna a morte di mio nonno.

Il pensiero di chi ragionava come Sean era elementare: procurare il maggior numero possibile di danni gli inglesi. In ogni forma, con ogni mezzo, senza regole né morale, senza rispetto o pietà.

Nel corso della mia ricerca ho incontrato numerosi irlandesi e in ciascuno ho colto tracce del germe di Sean Russell.

Anche Butch Cassidy si trovò a essere, in qualche modo, un servitore di questa logica. Una volta «scomparso», aveva avviato un intenso contrabbando di armi fra Stati Uniti, Argentina e Irlanda. E questo era uno dei motivi per cui Patrick O’Maley era stato sistemato nell’archivio della polizia: perché la notizia non trapelasse.

Un giorno O’Maley ricevette una segnalazione da Julio Ruggiero, zelante funzionario doganale del porto di Buenos Aires. Ruggiero aveva controllato un carico di materiale equestre proveniente dagli Stati Uniti, per la precisione dallo Utah, e destinato al Jockey Club di Rawson, Chubut, Patagonia. La cassa era eccessivamente pesante e Ruggiero si era insospettito. Oltre ai finimenti e alle selle vennero rinvenuti trenta fucili Thompson e altrettante pistole Colt Pacemaker. E munizioni, una quantità enorme di munizioni. Ruggiero aveva fatto rapporto al suo capo, Dan Sweeney, un tipo grasso e rossiccio perennemente sudato. Sweeney aveva sorriso e gli aveva dato una calorosa pacca sulla spalla.

«Molto bene, Ruggiero, li hai beccati, sei stato in gamba, scriverò una nota di merito per te, ma per questa volta lasciamo correre, li conosco bene quelli del Jockey Club di Rawson, sono amici, ragazzacci irlandesi che si annoiano a morte da quelle parti. Non puoi andare in eterno avanti e indietro su un cavallo inseguito solo dal vento e dalla desolazione. Si rompono i coglioni da quelle parti, Julio, non c’è un cazzo da fare, e così, ogni tanto, organizzano una battuta di caccia e i loro amici dello Utah gli infilano qualche bel fucile nuovo nelle casse. Non c’è niente di cui preoccuparsi, Ruggiero, niente di illegale. Sono piccoli scambi di regali fra ragazzacci irlandesi che si capiscono.»

Sweeney offrì una birra e un’empanada a Ruggiero, poi prese il rapporto da inviare alla centrale e aggiunse Controllato. Fucili da caccia premio per concorsi ippici. Firmato Dan Sweeney. Ufficio Doganale del Porto di Buenos Aires. Ci stampò un bel cerchio verde e quella cassa, insieme a tutte le altre, arrivò puntuale al Jockey Club di Rawson, Chubut, Patagonia.

Ma Ruggiero pensò di inviare ugualmente due righe alla centrale in cui riferiva senza commenti l’accaduto, una nota da allegare all’archivio centrale.

La nota fu ricevuta da O’Maley che, naturalmente, la fece sparire. Una settimana dopo, Julio Ruggiero fu promosso e ottenne il primo incarico di comando in una stazione doganale al confine con la Bolivia, un posto fuori mano, forse un po’ troppo isolato, ma circondato da splendide montagne.

 

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