Un mare troppo lontano (recensione di Gianni Brunoro)
BOTTE PICCOLA, VINO BUONO
Negli elegantissimi e molto costosi vecchi orologi analogici, “antenati” di quelli digitali e quindi a movimento meccanico, esiste un dispositivo (forse chiamato scappamento ad ancora, ma in questo contesto il nome non ha importanza) il quale ha la funzione di far sempre avanzare il congegno, senza fermarsi, qualunque movimento lo coinvolga. È la metafora che potrebbe affacciarsi alla mente del lettore abituale dei romanzi di Marco Steiner, amico e “allievo” letterario di Hugo Pratt, alla lettura della sua ultima opera, Un mare troppo lontano. È il primo titolo di una nuova collana di “racconti di viaggio e avventura”, Zefiro, pubblicata dalla piccola e gagliarda libreria romana Le Storie. Il perché della sensazione metaforica dipende dal fatto che Un mare troppo lontano evidenzia un successivo passo avanti rispetto a Nella musica del vento e a La nave dei folli, opere le quali, in sequenza, dimostravano a loro volta un ulteriore superamento, già l’ultima rispetto alla penultima, nel mondo creativo e nei corrispondenti requisiti letterari di Steiner. Ora, questa recente opera – pur nella sua dimensione all’apparenza minimalista – mostra una struttura letteraria ancora più avanzata, contestuale a una notevole maturità in progress rispetto al passato.
I fatti narrati, di per sé semplici, emergono obliqui coordinando la narrazione non lineare dei vari racconti: il proprietario di un veliero, da lui profondamente amato, è costretto a cederlo. Lo acquistano tre uomini, per usarlo a scopi truffaldini, tipo contrabbando di liquori, o traffico d’armi. Questi finiscono per litigare: due rimangono uccisi, il terzo vaga sul mare col battello, che va incontro a un naufragio. Arenato su una spiaggia, diventerà un vecchio relitto. Ma su quel relitto, fra realtà e suggestioni, lo scrittore imbastisce le sue storie, nutrendole di sogni, illazioni, ragionamenti, fantasia.
Vista l’impostazione programmatica della collana, il libro si presenta come una serie di racconti, diciamo così, “di mare”. Dopo un prologo autobiografico sulle impressioni provate dall’autore nell’osservare un austero, ieratico corvo, dal quale peraltro si sente osservato, si approda a un primo capitolo: esso racconta di tre uomini sull’imbarcazione Irene di Boston, i quali finiscono in un accanito litigio, il cui esito è drammatico: due rimangono uccisi dal terzo; ciò avviene sotto lo sguardo penetrante di un corvo nero, lucido come la notte. Il secondo racconto è un’estesa divagazione poetico-narrativa dei viaggi di una pressoché enigmatica Irene e dell’incontro con due altri uomini; ma si intuisce poi che Irene è la stessa nave e che parla con un corvo, il quale le predice il naufragio, mentre lei diventerà una donna. Nel terzo capitolo è il veliero stesso Irene di Boston – o per meglio dire il suo spirito – a parlare in maniera palese e a raccontare in una favola onirica i fatti che portarono alla propria nascita, nel naturale contesto del proprio punto di vista; fra l’altro, lei esibisce, fin dal principio, una specie di elegia, la propria ammirazione delle doti del corvo, «l’unico che può volare fra i reami, l’unico in grado di vedere il passato e di raggiungere il presente, l’unico in grado di entrare nelle terre dei sogni, di sbirciare il futuro e capire le anime». Al capitolo successivo, sono il corvo Puck e un olivo i protagonisti, impegnati in dialoghi tra il filosofico e l’esistenziale, pur sullo fondo della dimensione dell’avventura (e di altro: che esige un successivo approfondimento). Il capitolo conclusivo, sempre all’insegna della presenza di un corvo, è una narrazione in terza persona, allusiva a un’esposizione ordinata degli eventi prima narrati.
In questo resoconto forzatamente sintetico (e come tale incompleto) risultano tuttavia evidenti certe caratteristiche: la più notevole è che i racconti sono collegati fra loro, sia per la immanente, significativa presenza del corvo, sia per i protagonisti. Altro elemento importante è la struttura narratologica. Per esempio, chi abbia letto L’urlo e il furore del grande scrittore americano William Faulkner (premio Nobel 1949), avrà presente che nei quattro capitoli del romanzo i primi tre sono “scritti” da tre differenti protagonisti, che espongono ciascuno la propria visione soggettiva dei fatti; mentre nel quarto subentra una esposizione in terza persona che chiarisce in modo oggettivo gli eventi. Un procedimento analogo, di avanguardia narrativa, qualifica – come si è accennato – anche Un mare troppo lontano. Altri elementi caratterizzanti sono le strutture narrative, che fra le altre possono richiamare le ambientazioni del primo Melville, quello di Taipì, per intenderci; o l’esotica profondità espositiva, data dalla compattezza, che caratterizza Conrad. Ma ci sono anche rimandi metanarrativi: per esempio al Corto Maltese di Hugo Pratt, specificamente al racconto Sogno di un mattino di mezzo inverno.
Comunque, appunto, il capitolo Il corvo e l’olivo esige un approfondimento. Perché, se ogni libro ha un’anima, per “questo” libro si può ragionevolmente sospettare che l’anima risieda nei dialoghi fra l’olivo e il corvo Puck, appunto in “questo” capitolo. Il quale costituisce uno dei perni su cui si regge tutto il librino: corvo e olivo si scambiano pensieri su mitologie nordiche e memorie mediterranee, in un groviglio inestricabile di miti, fantasie, favole: un mélange che, sul piano narrativo, risulta una prospettiva surreale. Dei quattro classici elementi acqua-aria-terra-fuoco, l’olivo incarna le valenze materiali, concrete: acqua-terra; mentre il corvo impersona le componenti magiche, lievi, impalpabili: aria-fuoco. Per cui nel contesto narrativo generale, questi momenti configurano il livello intellettuale/filosofico più alto. A tratti, sembra di assistere ai battibecchi fra l’aviatore e il piccolo principe, nell’opera omonima di Saint-Exupery: ma qui, con la compunzione di un filosofo del romanticismo tedesco.
Seguiamone certi dialoghi:
«Quello non è un marinaio come gli altri – afferma il corvo – lui si chiama Corto Maltese ed è un simbolo del viaggio per mare, proprio come quell’amico di cui ti parlavo.», «E allora dimmi chi sarebbe questo amico, maledetto corvo insistente!», «Io ho un nome, olivo, mi chiamo Puck!», «Va bene, Puck, parla allora… […] tu rimugini le tue vecchie favole celtiche zeppe di eroi, fate, maghi cavalieri e velieri incantati», «Olivo, tu conservi la memoria, ma io volo nel mondo della fantasia e servono entrambe per sognare. Tu te ne stai piantato qui, osservi e ricordi le cose, ma io le vedo in un’altra maniera perché riesco a viaggiare libero fregandomene del tempo».
E nei loro discorsi s’infiltrano anche guizzi metanarrativi. Ricompare Corto Maltese e il corvo, nella sua fantasia, lo fa figurare come una reincarnazione di Ulisse:
«Il tuo amico – dice all’olivo – si chiamava Ulisse, vecchio brontolone, te lo ricordi soltanto adesso?», «Ma chi, il greco? Ma certo che me lo ricordo e mi domando che fine avrà fatto?», «Olivo, io non sono venuto fin qui per farti una lezione di storia, a me interessano i sogni e le favole, non soltanto quelle celtiche, e poi, mi piace pensare al futuro e non ho voglia di rinvangare il passato, comunque stavo pensando proprio a lui, Ulisse, il marinaio greco che dopo aver conosciuto ogni genere d’avventura in giro per il mondo e dopo aver rifiutato l’immortalità che amanti, sirene, maghe o regine gli volevano regalare, scelse di tornare in patria, a casa, da sua moglie Penelope.», «Sai perché lo fece?», «No.», «Perché Ulisse scelse la fine di un uomo normale».
Si potrebbe naturalmente continuare, spulciando fra questi dialoghi all’apparenza surreali, che dipingono un mondo animisticamente panico, in cui parlano vegetali e animali, mentre l’uomo non vi esiste: come in Fedro, come in certo “moralista” Trilussa. Ma sono dialoghi tuttavia profondi, che rinviano a problematiche eterne, tanto in filosofia quanto in letteratura. Chiunque, purché aduso a buone consuetudini letterarie di lettura, potrà trovarci anche altro. Ma qui è il caso di sottolineare come ciascun capitolo sia fruibile come racconto in sé, grazie alla chiarezza espositiva; nella quale peraltro serpeggiano rinvii poetici, sia nella sostanza sia nella forma, che pur non rinunciano a un sapore diffuso di senso dell’avventura: sono pertanto limpidi richiami a eventi, a considerazioni, a immagini letterarie. È in ciò, che si sostanzia la sistematica tensione a una profonda essenza narrativa di quest’ultima opera di Steiner.
(Gianni Brunoro)
Marco Steiner, Un mare troppo lontano
Ed. Le Storie, Roma, 2022
82 pp., f.to 8×12, brossura, Euro 5,00