Tropical Islander

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Tropical Islander

Tropical Islander

La Tropical Islander, è la mia nave, è una grossa nave dallo scafo nero. E’ fredda e piena di scatole metalliche di ogni colore. E’ una portacontainer della New Guinea Pacific Line.

Siamo partiti da Hong Kong il 28 aprile e dovremmo arrivare ad Apia il 14 giugno, abbiamo toccato i porti di Kobe, Yokohama, Tarawa, Nomea, ma poi ci hanno bloccati al largo del porto di Lautoka, nelle Fiji.

L’ordine l’ha dato un ufficiale medico, il dottor Tarid Ali. Doveva essere un semplice controllo sanitario, ma a bordo hanno trovato tre tipi d’insetti strani, dovranno analizzarli, e allora siamo stati messi in quarantena, adesso siamo bloccati qui, a tre miglia dal porto.

Non manca molto al porto di Apia, Upolu, la mia isola, ma se non riusciremo a partire al più presto io diventerò davvero pazzo.

Il mio nome é Niuu, sono originario di Matautu, un villaggio di pescatori sulla costa meridionale della mia isola. L’anno scorso, all’alba del 29 settembre, una data che non dimenticherò mai, lo tsunami investì proprio quella costa e con quattro onde più alte delle palme, mi portò via tutto, mia figlia di dodici anni, mio padre e mia madre, la mia casa, la mia moto e il mio cavallo, elencati nell’ordine d’importanza.

Mi ero svegliato di notte e avevo sentito il rumore, sembrava un ruggito nella terra, poi ci fu solo silenzio, un grande silenzio, senza un alito di vento, senza il canta di un uccello, un grande vuoto, poi arrivò il mare, quattro schiaffi di fango gelido, sembrava che tutto dovesse finire. Io rimasi attaccato al tronco di una palma, lei era riuscita a resistere ed era rimasta in piedi, elastica, leggera. Le altre, con le loro radici infilate nella sabbia e i tronchi spezzati, sembravano tristi ballerine su di un palco senza più musica.

Prima ero un uomo felice, ero quasi benestante, avevo una casa, una moto, un cavallo e sapevo pescare, da quel momento in poi, non ho avuto più niente. Mi sono rimaste tre tombe, una moglie infelice, il ricordo della mia piccola Fale e dieci palme spezzate, come la mia vita.

Fu così che accettai l’ingaggio del comandate giapponese di questa nave nera come la notte.

Lui mi ha venduto un container per 500 dollari di Samoa, praticamente pochi spiccioli, ma per le carte di navigazione quel container blu sarebbe stato mio durante i nostri viaggi, lui non aveva responsabilità per quello che conteneva. Le autorità portuali fanno controlli a campione oppure guardano le provenienze, le destinazioni e il tipo di merci trasportate, quando c’è un dato sospetto controllano i container. Nel porto di Hong Kong non ci sono più barche, ma un’impressionante distesa di container di tutti i colori, la prima volta che l’ho vista mi sembrava un’immensa città disegnata da un bambino che non riesce a parlare. Non ho mai capito come facciano quelle braccia meccaniche a scegliere il cubo giusto e a caricarlo sulla nave giusta, ma in fondo, la cosa non mi ha mai interessato molto, la tecnologia mi fa schifo. A me bastava sapere che il mio container blu viaggiasse sempre con me e che nessuno mi chiedesse di aprirlo per curiosarci dentro. Ho fatto tre viaggi da Hong Kong al Giappone e ogni volta ho infilato un sacchetto di coca in mezzo ai tonni congelati, oppure fra i materiali da costruzione, questo era il mio lavoro, anche se facevo finta di fare il marinaio.

Questo è il mio terzo viaggio, l’ultimo, il mio incarico si dovrebbe concludere, il container torna al comandante e io mi prenderò il premio, 30.000 dollari americani. Con quei soldi ricostruirò tutto, mi ricomprerò una moto e un cavallo, pregherò per mia figlia e per i miei antenati, costruirò una tomba proprio nella veranda della mia nuova casa e la rifarò proprio sopra al pavimento di quella che le onde mi hanno portato via. Basta un piccolo muro per il perimetro, un po’ di colonne azzurre, un tetto. Qui ad Apia, le nostre case sono fatte così, solo tende leggere, non servono muri, porte, finestre, chiavi, basta un tetto per ripararci dalla pioggia.

nella mia casa non servono i muri

L’aria, il vento e gli amici possono sempre entrare.

Io, con quei soldi, vorrei solo rifare tutto, per provare a ricominciare.

Ma la Tropical Islander adesso è bloccata, per una stupida ispezione medica e per tre stupidi insetti di cui non saprò mai il nome.

Sono qui, sono tutto sudato e il mio cuore batte come un tamburo.

Il mio corpo è quasi completamente tatuato, perché sono un uomo di rispetto, almeno secondo le nostre tradizioni, ma non sono contento di quello che ho fatto, e se mi dovessero scoprire vorrei strapparmi questa pelle di dosso.

Un ragazzo, per guadagnarsi il diritto al suo tatuaggio deve dimostrare il valore, e per fare questo, deve superare tre prove: il mare, la terra, la famiglia. Con la mia fiocina ho dimostrato di saper pescare, con la vanga, di saper coltivare la terra e di saper far crescere e mantenere la famiglia, per questo ho avuto il diritto di ricevere il tatuaggio.

Non sapevo quale disegno il Maestro avrebbe scelto per me, lui l’avrebbe sentito da solo, senza parole, e avrebbe iniziato, senza uno schema. Ho sofferto tutti i giorni, per quattr’ore filate, per una settimana intera.

Quel martelletto picchiava con la punta irta di aghi, sottili come spine, s’infilavano nella mia pelle, e quel rumore mi si era infilato in testa come un chiodo, come migliaia di chiodi.

Non riuscivo a dormire perché continuavo a sentire quel picchiettio, ma avevo voglia di svegliarmi per sdraiarmi di nuovo e ascoltarlo davvero perché avevo voglia di finire.

Oggi sono qui, e aspetto il mio destino a braccia incrociate, riguardo i miei muscoli e i segni che ricoprono il mio corpo, ma non ho più orgoglio, vorrei soltanto graffiare questi segni con tutta la pelle e la mia anima ferita. Con quei soldi, forse, riuscirò a ricostruirmi una casa, a ricomprarmi la moto, il cavallo, ma non mi ridaranno il rispetto.

il disegno avrebbe scelto me

Poi ripenso al Pacifico.

Lui ci ha dato tutto, e per questo ha il diritto di riprendersi ogni cosa.

Allora, se avrò la fortuna di ritornare a casa senza essermi sporcato troppo con questa nave nera, dimenticherò e andrò avanti.

Ricostruirò la canoa e tornerò a pescare, perché quando sono solo in mezzo al mare e non importa se piove o c’è il sole, bastano le stelle di una notte profumata e il vento e le onde che mi vogliono trascinare con loro.

Là in mezzo, solo, sono libero e vero.

Forse dovevo perdere tutto, per capire quanto sono ricco e felice, perché sono libero. Upolu, la mia isola, è l’isola del tesoro e questi bastardi con i loro soldi non riusciranno a cambiarmi.

 

©marcosteiner

foto ©Marco D’Anna

4 Comments


  • meravgilia

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  • grazie viaggiatore

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  • Ci vuole talento per commuovere, raccontando la una storia di uno spacciatore.
    Ci vuole visione per scovare un cuore dietro i tatuaggi.
    Io ho visto e mi son commossa…

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  • io scrivo per commuovere chi ci riesce ancora…
    del resto poco m’importa

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