“La vita è ciò che facciamo di essa.
I viaggi sono i viaggiatori, ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.
(Fernando Pessoa)
Djibouti, ore 8:30.
Nave Etna molla gli ormeggi e si allontana lentamente nel grigio.
Aspettiamo e osserviamo in silenzio in compagnia dello ship-chandler, l’uomo del porto, quello che si occupa delle pratiche di ingresso e uscita delle navi, quello che ci porterà all’aereo con la sua pick-up bianca.
Ha una faccia simpatica e la maglietta blu di una compagnia di navigazione norvegese.
Siamo sul molo, la macchina ha le porte aperte, esce la sua musica a tutto volume.
“A chi” di Fausto Leali. Proprio così, sembra irreale, ma è così e prima c’era Zarrillo e prima ancora un gruppo Rap pugliese.
Sulla banchina, dietro di noi arrivano due Humvee M998 quei gipponi militari muscolosi che nelle nostre città i ragazzi ricchi nella versione “civile” chiamano Hummer.
Questi invece sono mezzi americani con tanto di mitragliatore sul tetto che iniziano a preparare il molo per l’arrivo di una nave US Navy con check-point e filo spinato sparso ovunque.
Il nostro amico gibutino ci rivolge uno sguardo che è tutto un programma.
Sarà un molo diverso da quello che ha ospitato una nave italiana.
Dalle vetrate dell’aeroporto si vedono due mondi lontani che s’incrociano.
I passeggeri con le valigie legate con lo spago salgono sul volo Aethiopian Airways per Dire Daua mentre guardano i Mirage francesi e gli elicotteri americani che sfrecciano e atterrano dietro le loro case.
A Istambul, l’Asia s’incontra con l’Europa e con l’Africa in un aeroporto che brulica di gente.
All’1 di notte arriviamo nel freddo di Parigi e la campana di Notre Dame ci saluta.
Francisco ci da il benvenuto, ma la camera n°4 dell’Esmeralda, l’albergo dove veniva sempre Hugo Pratt, quella col sole sul muro è occupata.
Ma è lo stesso, questo è il posto giusto per chiudere il cerchio di un viaggio alla ricerca di Corto.
Ho fatto questo Viaggio per seguire una grande storia, “Una Ballata del Mare Salato”, la storia che ha visto la nascita di Corto Maltese.
Nella fantasia di Hugo Pratt, la storia iniziava il 1° novembre del 1913 nel Pacifico.
La Marina Militare voleva realizzare un’agenda per il prossimo anno. Corto sarebbe stato il “testimonial” ideale perché rappresenta il concetto di Viaggio e al tempo stesso la passione e il rispetto per il mare e per l’amicizia. Da questa base è nata l’idea.
Il 1° novembre del 2013 sarebbero stati 100 anni dall’inizio di quella famosa Ballata, e allora perché non cercare qualcosa di diverso, su quella stessa agenda, invece di mettere soltanto le immagini con Corto Maltese, provare a raccontare anche un’altra storia, una storia che parlasse di cambiamenti, di maturazione e di passaggi, esattamente come quelli vissuti da Cain e Pandora, i due ragazzi protagonisti della Ballata. Due giovani borghesi australiani che, dopo un naufragio, e dopo l’incontro con pirati, avventurieri, marinai maori dal volto tatuato diventano un uomo e una donna diversi. Un romanzo di formazione, questo per me, oltre che un capolavoro, è la Ballata del Mare Salato di Hugo Pratt.
Dopo 100 anni, invece che nel Pacifico, situazioni simili si ritrovano nel Mediterraneo e nella zona dove s’incontrano i pirati di oggi, le Coste del Corno d’Africa.
Tutto è partito così, con un grande elemento aggiuntivo: lo stesso viaggio compiuto da Hugo Pratt, sulla stessa rotta, nel 1937, quando aveva 10 anni per trasferirsi con la famiglia in Etiopia.
C’erano tanti ingredienti, una grande musica che girava, una vera Ballata.
Siamo partiti così, senza un ingaggio preciso, io e il mio grande compagno di Viaggi, Marco D’Anna, il fotografo che non ruba immagini, ma che pennella situazioni, sensazioni, sogni.
Siamo partiti come piace a noi, liberi di raccontare quello che succedeva, di ricordare quello che Pratt aveva vissuto e quello che riuscivamo a immaginare.
Siamo partiti così, per vivere una specie di viaggio impossibile, al di fuori dalle regole e soprattutto liberi di raccontare i concetti fondamentali di tutta la storia: l’amore e la libertà di un viaggio per mare, i cambiamenti causati dal mare, il rispetto, l’amicizia.
È iniziato tutto a Pozzallo, fra i legni sfasciati di un veliero che ha fatto diversi giri del mondo,
l’Irene of Boston, una barca del 1914.
È iniziato tutto dall’incontro con un ragazzo che amava quella barca e che l’aveva comprata tanti anno prima, quando Irene era già un relitto, ma quel ragazzo, dopo un unico viaggio, al traino di un peschereccio, ha continuato a sognare di ridarle vita e di partire con lei, ma Irene, che nel frattempo aveva superato il concetto di barca ed era diventata la sua donna, una sposa, una madre, sfioriva nel tempo lasciandogli soltanto il sogno.
Poi è arrivato il marinaio Livio Brancati, quello che avrebbe potuto conoscere Corto a Pechino, nel 1900, ma questa è un’altra storia che dovrò ritrovare.
E poi sono arrivati i sorrisi della dottoressa che riusciva finalmente ad aiutare i bambini in Africa nell’orfanatrofio della Caritas o nell’ospedale della baraccopoli di Djibouti.
E poi sono arrivati i racconti dei nocchieri, i Selvaggi di Nave Etna e di tutti gli uomini dell’equipaggio, dagli elicotteristi che ci hanno fatto sorvolare quella “barca da sola in mezzo al mare”…un’altra visione, un altro triste racconto delle possibili drammatiche storie di un popolo, quello dei “migranti”, i più grandi avventurieri dei nostri giorni.
Quelli che non partono per conoscere qualcosa di diverso, gente che deve partire per la disperazione. Gente che lascia il nulla economico e il pieno di affetti, del proprio paese, della propria terra, sabbia, montagne, radici.
Gente che parte solo per cercare di vivere, in qualche modo, non importa dove o come, ma lontano da quell’impossibile nulla.
Un giorno parlavo con un amico, un grande esperto delle storie di Corto Maltese e a un certo punto è uscita la domanda: cosa farebbe oggi Corto Maltese?
“Camminerebbe” – mi ha detto quell’amico senza esitazioni.
Il senso di tutta quella conversazione era sul modo di viaggiare, di incontrare le cose.
Quel “camminerebbe” significava che Corto oggi, forse, viaggerebbe lentamente. Forse anche una barca a vela sarebbe troppo veloce per vedere e sentire quello che succede nel mondo.
Per conoscere le cose non bisogna vedere le cose, per conoscere le cose bisogna entrare nelle cose, mi è capitato di scrivere, ed è proprio questo ciò che conta e Corto, forse, farebbe proprio così, perché Corto non è solo un grande personaggio creato da Hugo Pratt, Corto è un simbolo, un simbolo del Viaggio inteso come rispettosa conoscenza dell’altro all’interno di una visione ironica e disincantata della vita.
Corto non si è mai arruolato sotto nessuna bandiera, ma rappresenta lo spirito del vero marinaio e il marinaio non è solo il grande skipper in grado di compiere imprese impossibili attraversando il Pacifico o Capo Horn in solitaria. No, tutto troppo veloce, un’impresa. Non basta.
Per capire un marinaio bisogna imbarcarsi su una nave e dormire in cuccetta, aprire gli occhi al mattino con la sveglia generale e scendere le scalette strette che portano alla mensa per bere il caffè col cuoco, il nostromo, il telegrafista, un ragazzo del Battaglione San Marco in mimetica, un motorista con la tuta blu che racconta una notte fatta d’olio, di bielle e pistoni.
Bisogna sentire i racconti nel vento di una sigaretta a poppa o davanti a un piatto di orecchiette con l’olio e il peperoncino pugliese.
Adesso, dopo i giorni necessari a capire, in questa fredda notte a Parigi, in una stanzetta piccola e malandata dove un tempo veniva Hugo Pratt, la cosa più giusta da dire è che sono felice di questa esperienza. Serviva del tempo, perché la riflessione deve essere come il viaggio, lenta.
In fondo a tutto quello che ho visto, vissuto e che sento c’è un sentimento che domina: la nostalgia, il sentimento base di ogni marinaio e il desiderio di libertà.
Quando la cima si stacca dal quel molo lontano, il viaggio inizia e in quel preciso momento lo spazio, il tempo e le sensazioni si dilatano.
C’è la nostalgia per la famiglia, la casa, la terra d’origine. Ma poi c’è il Mare.
L’occhio e la mente si liberano di tutto e poi si riempiono di blu e di spazi aperti, dei colori dell’alba e del buio stellato delle notti. Laggiù, oltre l’orizzonte c’è il Viaggio.
Una cosa che assomiglia molto al Sogno.
Questa Ballata da Pozzallo, Taranto, Mediterraneo, Suez, Djibouti, Parigi è stata un vero Viaggio fatto d’incontri reali, di ricordi e di fantasia, ma c’è stato qualcosa in più…
Quando avevo dodici anni, più meno la stessa età in cui Hugo Pratt se ne andava in nave verso l’Africa, nel 1968, io restavo a casa, ma partivo incantato sulle note di un disco, un’altra Ballata, quella raccontata dalla musica dei New Troll: “Senza orario senza bandiera”.
Quello per me fu l’inizio di un altro tipo di musica, di un altro modo di sentire la vita. Il Viaggio.
In francese balade significa passeggiata, una camminata senza meta, un giro…
Proprio ieri sera, a Parigi passeggiavo con la musica in cuffia.
L’Ile Saint Louis è una piccola meravigliosa isola in mezzo alla città. Pratt abitava da quelle parti, ma in mezzo a quell’isola c’è un’altra isola, la libreria Ulysse, una fantastica libreria interamente dedicata al viaggio. Beh, proprio davanti a quelle vetrine la mia selezione di musica casuale mi ha raccontato una storia che era l’esatta chiusura di tutta questa mia “Ballata”.
Basta il testo della canzone “Andrò ancora”.
Non serve aggiungere altro.
Il giro e il cerchio si chiudono con le parole di due grandi poeti: Maurizio Mannerini e Fabrizio De André.
“Andrò ancora per le strade del mondo con occhi sinceri
Cercherò ovunque il dolore la gioia del mondo
Conterò le lacrime amare di chi soffre
I sorrisi di chi attende con mani protese in avanti
Andrò ancora senza un orario e senza bandiera
Mi chinerò su malati e fontane
Sui volti dei bimbi
Camminerò fra sporcizia e denaro
Senza fermarmi
Andrò ancora e quando tornerò sarò più vecchio e migliore
Non sarò mai né triste né stanco
Andrò ancora e se tornerò
Sarò senz’altro migliore
Andrò ancora per le strade del mondo potete contarci”.
Parigi, 6/12/2013 (…continua)
Una bella avventura, piena di significati e di ricordi…. Cammina ancora, Steiner.
puoi starne certo Maurizio
la strada è appena iniziata…
“potete contarci”
Cammina Amico.
E porta con te dei frammenti delle tue vite passate,
di ricordi condivisi,
degli amici incontrati lungo la strada,
delle ferite aperte poi cicatrizzate…
Perché tutto ciò che ha contato veramente conterà e resterà vicino a te per sempre.
Perché questo è il tuo Universo.
grazie Esmeralda.
frammenti, ricordi, amici, ferite, cicatrici, gioie…
fanno tutti parte di un universo fatto di transiti,
in fondo a tutto
c’è il desiderio di capire di più
di migliorare
Migliorarsi,
La ricerca di una vita….
per me è stato un piacere conoscerti durante la traversata Taranto-Djiboutidi MARCO STEINER… …..GRANDE SCRITTORE MA SOPRATTUTTO GRANDE UOMO……
Grazie Nostromo e io approfitto del tuo intervento per ringraziare tutti i Veri marinai che ho conosciuto a bordo di Nave Etna,
grandi compagni di viaggio,
ma soprattutto Uomini che ce l’ha scritto negli occhi quello che a parole non c’è bisogno di dire.