Clifden, Connemara.
Il posto migliore per cominciare a girare nel Connemara, che in Irish significa “Insenatura del mare” è Clifden, la base di uno spettacolare circuito di 12 chilometri che viene chiamato non a caso “The sky road” (La strada del cielo) per un motivo semplicissimo, sembra davvero di volare a metà strada fra la terra e il Paradiso e non si capisce bene se sia la terra che cerca con mille dita d’allungarsi nel mare, oppure se sia proprio l’Oceano a cercare d’infilarsi per far riposare le onde in qualche anfratto fra il calcare e i prati.
Per pianificare le giornate, io e Marco D’Anna, ci fermavamo spesso in un pub. Le carte geografiche si spiegano meglio su un tavolo di legno scuro, i fogli stanno più distesi se bloccati da due pinte di Guinness sugli angoli.
Il pub sulla strada principale di Clifden era molto scuro, c’era tanto nero sull’insegna, sulla porta d’ingresso, sulle cornici dei quadri. Erano tutte immagini di aerei dei primi del ‘900, c’erano diverse foto di due piloti, la prima pagina del New York Times che parlava di un’eroica trasvolata senza scalo dal Labrador all’Irlanda nel giugno del 1919, il ritratto di un duro, simpatico, biondo, capitano Alcock.
Alla seconda Guinness domando al ragazzone biondo che porta il vassoio se il pub apparteneva a qualcuno della famiglia del pilota.
Il ragazzone si siede con noi, fa un cenno e compare una birra rossiccia.
Mi guarda, si scola mezzo bicchiere in un sorso e mi sorride come se avesse ritrovato un vecchio amico.
Prendo tempo e cerco di darmi un tono scolando anch’io il mezzo bicchiere rimasto.
Un altro cenno e sul tavolo compaiono due Guinness e una rossa.
E’ sufficiente, ho pronunciato la parola d’ordine e Colin si apre.
E continua a parlare, della trasvolata di Alcock e Brown, degli aerei, del brevetto di volo che ha preso in California, dei tanti soldi che faceva portando i turisti a sfiorare le rocce nella Monument Valley.
– Alla fine, sono tornato in Irlanda perché mi hanno offerto di volare qui, a casa mia, nel posto più bello del mondo, fra la costa e le Aran, dove sono rimasti gli irlandesi più veri. Dove si riesce ancora a vedere oltre le isole…
– Che intendi dire, Colin, oltre le isole?
– Che ci sono isole che alcuni riescono a vedere, e altri no.
Si alza e va a prendere una carta topografica delle isole Aran e alcune foto aeree.
– Ti rivelerò una cosa, soltanto perché conosci quegli aerei…
Passammo due ore in quel pub e Colin ci raccontò una bella storia.
Le isole Aran sono tre: Inishmór, la maggiore, Inishmaan e Inisheer, la prima è una losanga con un migliaio di abitanti, le seconde sono grossi scogli con poco più di duecento anime ciascuna. Ma, secondo Colin, ci sarebbe una quarta isola, Hy Brasil o Uì Breasail (l’isola degli antenati) che sarebbe sparita nell’Oceano non si sa quando né perché, ma lui giura di averla vista. Ci ha mostrato anche una serie di foto aeree in cui s’intravedeva un’indistinta macchia scura fra le gocce di pioggia del finestrino. Altri marinai l’avevano vista ed era segnata su una mappa catalana del 1480 col nome di Illa de Brasil. Pedro Alvares Cabral l’aveva raggiunta nel 1500 e secondo lui prendeva il suo nome dal colore rosso, la “brasa”, dello scisto delle rocce. Si diceva fosse sempre avvolta da nuvole e nebbie tranne durante un solo giorno, ogni sette anni.
Rimanemmo colpiti dalle storie di Colin, ma soprattutto dalla sua ultima frase, quella che pronunciò prima di salutarci.
La sera stessa, in un percorso che ci avrebbe avvicinati a Rossaveel, il porto d’imbarco per raggiungere le Aran, ci siamo fermati a Cashel, nell’unico albergo aperto in quel febbraio fuori stagione. Non c’era nessuno, eravamo gli unici ospiti, eppure i caminetti erano accesi, i tavoli perfettamente apparecchiati come fosse prevista una gran cena, le candele illuminavano calici di cristallo, le porte delle stanze erano aperte e le librerie piene di libri antichi.
Sembrava impossibile, ma era così. Quello era lo stesso albergo in cui Pratt era venuto nel 1983 con una troupe della Rai e con Vincenzo Mollica per girare il documentario irlandese.
La proprietaria ricordava benissimo gli acquarelli che Pratt disegnò nella sua stanza, ma non ricordava se avesse dormito nella camera 17 o nella 21. Entrambe le stanze erano libere, se non ricordo male, io scelsi la 17, Marco andò nella 21.
Anche Yeats, in The Celtic Twilight (1893) parlava di un pescatore che conosceva Hy Brasil l’isola scomparsa.
I luoghi più belli sono quelli che si trovano per caso e quelli che bisogna continuare a cercare…
marcosteiner
liberamente tratto da “I luoghi dell’avventura” Rizzoli-Lizard
Foto di ©Marco D’Anna
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