Jean Claude Guilbert conosceva molto bene Hugo Pratt, non era soltanto un suo amico. A vederlo camminare in Etiopia sembrava di osservare il passo di uno dei soldati coloniali delle storie di Pratt. A guardarlo negli occhi si capiva subito quante cose si erano detti insieme quei due, sulla vita, sull’Africa e sull’Etiopia in particolare.
Hugo stava morendo in una clinica ai bordi del lago Lemano, nell’agosto del 1995, quando arrivò Jean Claude.
Il soldato mise fra le mani di Hugo una chiave e lui lo guardò con un ultimo guizzo che arrivava da quel magico azzurro, strinse le mani sulla chiave e se ne andò via.
Lasciando un gran vuoto.
“L’opera e la vita di Hugo si confondono e appaiono nell’ombra proiettate su un trittico di pietra. Ce ne sono molti di trittici in Etiopia, i grandi si mettono nelle chiese, i medi nelle borse, i piccoli in tasca.”
Ha ragione Jean Claude: Cultura-Natura-Avventura sono il trittico di pietra, la solida base delle storie di Pratt.
Tutto il resto è magia.
Un esempio fra tutti è una storia “L’ultimo colpo”.
La Cultura è Arthur Rimbaud che recita i versi del suo “Bateau ivre” mentre scorrono le immagini che ci raccontano la Natura. Muri bianchi calcinati dal sole, cespugli di fichi d’India, minareti e scorpioni, cammelli immobili nel sole e mitragliatrici pronte a spezzare il silenzio.
L’Avventura è quella che si drappeggia sull’eroica bandiera dei King African Rifles, ma anche nella storia del capitano Bradt, il vigliacco, quello che un tempo viveva in Irlanda, ma era un altro uomo, aveva un altro nome. Bradt preferiva Rimbaud a Kipling, ma non poteva dimenticare il tradimento nei confronti di suo fratello. Uno sfogo virile fra combattenti diversi, un whiskey e il ricordo di una poesia. Un flashback dalla verde e piovosa Irlanda infilato in una scena che si svolge fra il bianco e la polvere di un fortino attaccato dai ribelli.
Una scena. Frasi staccate, vuoti, malinconia, prima del rumore, del “Crack” “Crack” dei fucili Enfield che riporteranno il silenzio, forse la giustizia.
Una cruda realtà che spazza il sogno, il rimpianto, la vita.
Ci mancano le note di Jan Garbarek e potremmo vedere il film che Hugo ha disegnato per noi, riusciremo a sentire il calore vibrante e i suoni del deserto, le lunghe ombre, la desolazione, i contrasti.
Anche il maledetto francese era una contraddizione vivente, vendeva armi ed era un grande poeta. La sua carovana di trenta cammelli affrontò il lungo viaggio che lo portò dalla regione del Tajoura attraverso deserti e foreste alla ricerca del re Menelik II per vendergli duemila fucili e settantacinquemila cartucce. Ma il poeta non fece un grande affare perché il sovrano gli confiscò gran parte delle armi e un codazzo di falsi creditori si accaparrò il resto.
“Il poeta deve farsi veggente attraverso un lungo e ragionato sgretolamento di tutti i sensi” diceva Rimbaud scrivendo poesie leggere ed eleganti come gli acquarelli di Pratt e cariche di significati come le sue storie e i suoi colori.
Marco Steiner
Buongiorno. Leggevo nella biografia della figlia Silvina che, invece di una chiave come da Lei specificato, fosse messo tra le mani di Hugo un Crocifisso etiope. Quando questo accadde però, vide testimoni solo i quattro figli del disegnatore. Il Crocifisso fu portato dal Sig. Guilbert immagino. Anche il Petitfaux racconta una versione simile alla sua.
Da semplice e appassionato lettore del maestro sono un po’ confuso.
Grazie per l’attenzione
Buongiorno Fabrizio,
bella domanda, allora le spiego meglio tutto:
C’era una frase che Hugo e J.C. Guibert ripetevano spesso: “per arrivare nel Giardino dell’Eden bisogna aprire sette porte nel deserto e per poterle aprire bisogna conoscere i nomi dei sette angeli terribili della tribù degli Shaitans oppure farsi accompagnare da un poeta che abbia una chiave d’oro sotto alla lingua…”
Da questo nasce, in maniera sintetica una parte della mia storia sugli ultimi momenti di vita di Hugo.
In realtà, quel giorno J.C. Guibert non era solo era con Livio Benedetti uno scultore italo-francese molto amico di Hugo Pratt. Non c’era nessun altro nella stanza della clinica. I due amici erano venuti per portargli effettivamente un crocefisso etiope dicendo che lui, Hugo, il poeta con la sua chiave d’oro sotto alla lingua li avrebbe poi attesi in quel mondo del futuro…