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Nella Musica del Vento “letto” da Emiliano Ventura

Nella Musica del Vento “letto” da Emiliano Ventura

Sono molto contento di tante recensioni positive al mio ultimo libro, sono state usate parole lusinghiere.

Emiliano Ventura l’ha letto così, e lo ringrazio:

Ci sono romanzi che possono essere delle occasioni per il critico, un evento che vada oltre la lettura e che possa offrire uno spunto per riflessioni liminari al libro in oggetto.

Una di queste occasioni è l’uscita del romanzo Nella musica del vento di Marco Steiner. Questa recensione giunge probabilmente in ritardo rispetto all’uscita del libro (giugno 2021), la cosa ha però consentito a chi scrive di leggere le recensioni che sono state già edite.

Tutte puntuali, tutte positive, elogiative e pronte a cogliere gli aspetti della narrativa di avventura con precisi richiami ai padri letterari. Tutto bello e anche tutto vero. Però così si perde l’occasione, l’occasione che un libro come questo offre, ovvero quella di capire che cosa sia un romanzo e cosa significhi essere uno scrittore.

La prima cosa da fare è mettere ordine nelle idee lasciando da parte un po’ di bigiotteria editoriale, tutto quel frasario sui vari generi: avventura, giallo, noir o rosa. Classificazioni utili per la compilazione di uno scaffale in libreria ma non certo adatte a capire “cosa sia” un romanzo e in particolare uno come Nella musica del vento.

Un romanzo è una narrazione di ampio respiro che generalmente, quando si tratta di letteratura, ha il difficile compito di spiegare cosa sia un “fottuto essere umano” (vedi David Foster Wallace), che poi questo possa essere calato in ambienti e tempi diversi poco importa, ma è questo il fine della letteratura.

Detto questo, il romanzo di Steiner non è una narrazione di genere (avventura) ma letteratura tout court, una narrazione di ampio respiro con due voci protagoniste, quella di un uomo e quella di una donna.

Altra abitudine indefessa delle recensioni, ma sarebbe più giusto dire segnalazioni, e della bigiotteria editoriale è quella di affrettarsi a trovare un padre letterario allo scrittore in oggetto. Per questo testo si sono rintracciati i nomi di Hugo Pratt (un esempio classico visti i trascorsi tra Steiner e Pratt, ma un evento ormai superato, datato), poi si cita Cormac McCarthy, per certe atmosfere realistiche o crude. Nulla a che ridire, sono padri letterari di assoluto rispetto.

Ma il recensore, in questo modo, perde l’occasione: quella di praticare strade nuove finendo così in un sentiero interrotto.

La cosa importante, di quest’opera e del suo autore, consiste nel fatto che Nella musica del vento sia un libro sudamericano scritto da un autore italiano, per la precisione si tratta di un “romanzo fuegino”. Con questo termine ci si riferisce genericamente alla Terra del fuoco, il sud del mondo dove il romanzo di Steiner è ambientato. Così come sono fuegini gli indios che abitano in quelle terre, anche questi compaiono nel romanzo.
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Dovendo trovare dei riferimenti alla narrazione fuegina di Steiner non è in orbita eurocentrica che si possano trovare dei nomi adatti, ma bisogna decentrarsi e perdersi nella letteratura sudamericana. Il romanzo di Steiner non riporta a un’antropologia europea (da conquistatore) ma un’antropologia fuegina (del conquistato); dovendo fare dei nomi di riferimento vanno cercati in Francisco Coloane, Àlvaro Mutis (la rivista The Serendipity lo ha colto) e Osvaldo Soriano.

Come non pensare all’immagine dell’indio congelato nell’Iceberg che punta il dito verso il narratore nel racconto di Coloane o a Un bel morir di Mutis, con le ipotesi intorno alla fine di Maqroll il gabbiere.

Un autore italiano ha scritto un romanzo sudamericano con un’antropologia fuegina, la selvaggia desolazione della Patagonia e di quei mari estremi è espressa come nei romanzi di Coloane, inoltre i Mapuches e i Tehuelches sono indios che ho incontrato solo nelle pagine di Soriano, guarda caso insieme al figlio di Butch Cassidy.

Ma Steiner non è scrittore sudamericano, ma chi conosce i suoi lavori non fa fatica a rintracciare una capacità di immedesimazione unica e sorprendente con l’oggetto narrato, che sia la voce di un folle, di un bosco o una figura femminile.

Ecco che cosa deve dirci un romanzo, che cosa significa essere un “fottuto essere umano”. Ma cosa vuol dire essere uno scrittore, uno scrittore italiano che scrive un romanzo fuegino?

Significa accettare la sfida al labirinto (vedi Calvino), la sfida alla propria contemporaneità di scrittore, il fatto di trovarsi a competere con l’intrattenimento (cinema, tv, musica, sport, fumetto ecc.).

Questa è la grande occasione per il critico; grazie al romanzo di Steiner si possono evidenziare alcune tendenze della letteratura italiana in generale. Secondo il senso comune, attuale, quando un romanzo è un bel romanzo si dice subito: “sembra un film”. Il romanzo di Steiner è un gran bel romanzo, ma direi che uno dei sei pregi è di essere, quasi, irriducibile alla sceneggiatura cinematografica.

Non che la cosa sia impossibile, tutto si può fare, ma il registro della narrazione con le due voci che si alternano, la cultura delle tradizioni degli indios, i dati della documentazione e della ricerca in alcuni ambienti malavitosi, rendono questo romanzo estraneo alle narrazioni di genere, in questo caso è veramente irriducibile, e avulso, alla moda della narrativa italiana attuale.

Per scrivere un romanzo fuegino, per spiegare che cosa significa essere un fottuto essere umano, Steiner ha dovuto alzare l’asta della scrittura, consapevole di dover affrontare il mondo dell’intrattenimento ha scelto la strategia di essere uno scrittore migliore, di fare un romanzo migliore, di fare letteratura tout court. Consapevolmente accetta il rischio di essere eccentrico alla moda letteraria attuale che utilizza una strategia opposta, quella di uniformarsi all’intrattenimento, la narrativa italiana ha il suo fine nella serie televisiva o nella riduzione cinematografica, se non gli riesce di incanalarsi nella serialità del personaggio.

Con questo romanzo, e con i lavori precedenti, Steiner decide di giocare una partita diversa, non si pone sul piano dell’intrattenimento, ma sul versante della letteratura massimalista, una letteratura capace di incontrare ambiti del pensiero eterogenei come le tradizioni fuegine, ad esempio, di fare una narrativa più- che-narrativa, un’opera letteraria.

Dovrei ora spendere qualche frase per la trama del romanzo, potrei rinviare alle molte recensioni in cui i nomi e i personaggi di Morgan Jones e Maria Leibowitz sono ampiamente descritti, ma vorrei cogliere anche qui l’occasione.

Un bastardo e una prostituta; Morgan è un cacciatore di indios e Maria è stata venduta dal padre ed è finita in un bordello sudamericano, era inevitabile che si incontrassero, sono due banditi, nel senso di ‘messi al bando’ dalla società, due eventi trascurabili nella storia dei conquistatori, ma due ingranaggi feroci nelle trame dei conquistati.

Il lavoro di Steiner, tutta la sua scrittura, è infatti quello di dar voce a coloro che sono stati ‘messi al bando’, ai dimenticati, ai folli, ai morti, alle ombre o ai personaggi che hanno perso l’autore (Corto Maltese). È uno scrittore con una propria mitologia riconducibile all’orfismo, al riportare alla luce ciò che era in ombra, far uscire dal bando il bandito.

Ecco, credo il senso di Nella musica del vento sia questo, far uscire dal bando il bandito, in modi e tempi diversi sia Morgan sia Maria sono usciti dal bando.

Emiliano Ventura

pubblicato su Ti con zero, 14 settembre 2021.

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